Dimmi come vesti
I vestiti come oggetti, così vicini ai nostri corpi, parlano chiaramente della nostra anima, a noi stessi e agli altri. Così ci spiega la famosa studiosa Elisabeth Wilson nella sua analisi antropologica della funzione culturale che l'abbigliamento ha sempre avuto nella storia e nelle diverse società. Se pensiamo poi al ruolo che questo ricopre in particolari momenti come i rituali non si può non riconoscerne una dimensione magica e mistica. Se questo è maggiormente vero per gli abiti ornamentali non smette di esserlo neppure nei momenti più secolari e per i capi usati come antitesi dell'apparire. In ogni caso, in ogni contesto, i vestiti possono essere considerati elementi di drammatizzazione che esprimono un tipo di performance a sé, tanto quanto altre forme di arte, come il teatro, la musica e la danza. Per questa ragione, la moda rappresenta sia l'ombra della memoria collettiva di una società o di una subcultura sia la principale risorsa quotidiana che ogni consumatore ha a disposizione per costruire e articolare la propria identità, il proprio sentire, aderendo a vissuti e gusti comuni o rifiutandoli.
Le donne di tutte le età sanno giocare stagione dopo stagione a questo processo di rigenerazione continua attraverso l'abbigliamento e gli accessori.
Nelle nostre ricerche, siamo sempre incuriositi e stimolati dalle modalità in cui ciò avviene e soprattutto dalle contraddizioni interne ai comportamenti. In questo modo abbiamo scoperto come le donne stanno cambiando il modo in cui si relazionano con le marche e gli stili imposti dagli stilisti diventando clienti più difficili.In una ricerca svolta con Deniz Atik e Søren Askegaard (Negotiation and power in the construction of consumer's image), abbiamo studiato la natura ambivalente del rapporto tra donne tra i trenta e i cinquant'anni e la moda. Osservando e indagando i loro conflitti con i modelli imposti dagli stilisti e dalla pubblicità e lo spazio creativo di generazione di uno stile personale a loro disposizione, abbiamo compreso contraddizioni e miti, frustrazioni e senso di leggerezza che esse provano quotidianamente davanti allo specchio. Oscillando tra gli estremi della vertigine dello shopping e la scelta sicura del black dress, abbiamo scoperto nuovi spazi di espressione "neofemministi", ovvero di donne consapevoli del potere del mercato ma alleggerite dal senso di oppressione.Con livelli di competenze diverse e livelli di entusiasmo incostante per le nuove proposte stagionali, le donne diventano 'bricoleuse' nella definizione del loro stile come lo sono nella costruzione del loro sé, miscelando e combinando oggetti di diverso valore e significato. Studiando il comportamento di consumatrici più giovani come le tween (le preadolescenti) o le teenager, numerosi progetti svolti con Chiara Mauri hanno dimostrato come per questi gruppi la moda e le sue marche siano il terreno di gioco per diventare grandi sviluppando competenze e disegnando la propria identità. Oggi non si provano più solo le scarpe con i tacchi della mamma, non si combinano i gioielli con le sciarpe di chiffon scovate nell'ultimo cassetto del guardaroba. Se la mamma quarantenne indossa solo sneaker giovanili allora si provano i tacchi nei negozi, sedute sui divani dei flagship store o nei camerini dei negozi low-cost. Con le amiche, sfilando per loro, sfilando con loro, si ricerca quell'equilibrio che ora è solo fisico, ma che nel tempo diventerà soprattutto psicologico e simbolico.