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Dal povero al ricco: gli effetti redistributivi della decentralizzazione della sanita'

, di Fabio Todesco
Gli effetti redistributivi interregionali del Servizio sanitario nazionale verrebbero attutiti dalla decentralizzazione e dalla riduzione degli standard minimi, sostengono Ferrario e Zanardi in un working paper Econpubblica

Ogni decentralizzazione dei poteri di finanziamento e di spesa nella sanità italiana inciderebbe sul livello di redistribuzione interregionale e le proposte discusse nel dibattito politico comporterebbero una minore redistribuzione del reddito tra le regioni, evidenziano Caterina Ferrario (Università di Ferrara e Econpubblica Bocconi) e Alberto Zanardi (Università di Bologna e Econpubblica Bocconi) in What Happens to Interregional Redistribution as Decentralisation Goes On? Evidence from the Italian NHS, un working paper di Econpubblica.

Le politiche sanitarie, perseguendo la redistribuzione individuale, producono l'effetto collaterale di generare redistribuzione interregionale quando le caratteristiche personali decisive per riceverei benefici sono distribuite in modo non omogeneo tra le regioni. È il caso dell'Italia e del suo Servizio sanitario nazionale (Ssn), che riduce di circa il 7% le differenze nel reddito lordo pro capite regionale.

Il governo centrale, in Italia, stabilisce standard minimi per i servizi sanitari e lascia che a erogare il servizio siano le amministrazioni regionali, che sono dotate di qualche potere di raccolta fiscale per coprire parzialmente i costi, e chiedono ai cittadini un ticket di co-pagamento. Il divario tra costi e ricavi è colmato dal governo centrale, che gestisce un meccanismo di perequazione verticale (dal governo centrale alle regioni) che copre il 53% della spesa totale del Ssn. Tutto ciò si traduce in un trasferimento di reddito dalle regioni ricche a quelle povere perché queste raccolgono poche tasse locali e contribuiscono in modo limitato al serbatoio centrale di entrate fiscali che finanzia il meccanismo di perequazione.

Attualmente alcune forze politiche italiane chiedono un'ulteriore decentralizzazione dei poteri di raccolta fiscale e un abbassamento degli standard minimi. Il paper, allora, confronta gli effetti redistributivi interregionali dell'abbassamento degli standard minimi nella situazione istituzionale corrente (decentralizzazione parziale e fondo perequativo verticale) e in due scenari alternativi: uno di "finanziamento basato sui trasferimenti", in cui il governo centrale ha il controllo completo delle risorse finanziarie, e uno di "fondo di perequazione orizzontale", in cui le risorse fiscali sono sotto il completo controllo regionale e le regioni stesse gestiscono il fondo di perequazione orizzontale.

Quando gli standard minimi si riducono, la redistribuzione diminuisce in tutti e tre gli scenari, ma in modo più netto nel caso delle risorse finanziarie controllate dalle regioni. L'abbassamento degli standard minimi fa sì che meno regioni abbiano diritto ai trasferimenti e, nell'ultimo scenario, lascia più risorse alle regioni ricche, che non devono più trasferirle né alle regioni povere, né al governo centrale. In questo caso "la riduzione degli standard minimi provoca una forte differenziazione della spesa sanitaria tra le regioni": quando si considera una riduzione del 30%, la Lombardia può permettersi una spesa pari al 129,2% di quella attuale, mentre Molise, Puglia, Basilicata e Calabria dovrebbero limitarsi al 70%.

Infine, è probabile che una maggiore decentralizzazione faccia aumentare la domanda di mobilità interregionale dei pazienti dalle regioni più povere, che riuscirebbero a malapena ad assicurare gli standard minimi già ridotti, a quelle più ricche, capaci di erogare servizi migliori grazie al denaro che non verrebbe più versato al fondo di perequazione. Come soddisfare e finanziare questa domanda diventerebbe un tema critico.