Cinquanta sfumature di lockdown
Di fronte alla pandemia il mondo si è riscoperto un puzzle composto da identità e sensibilità diverse. Se il ricorso al lockdown è stato un minimo comun denominatore nella maggior parte delle nazioni, ve ne sono state alcune nelle quali i governi hanno applicato misure più morbide per il contenimento, in ossequio alla cultura locale, alla legislazione vigente o agli interessi della classe dirigente. Elisa Bertolini, docente di Diritto Pubblico Comparato, ha dedicato diversi studi ai paesi che hanno adottato strategie alternative per contrastare il virus. "In uno, in particolare, abbiamo descritto le diverse sfumature di negazionismo osservate da parte di presidenti che hanno, se non proprio negato l'esistenza del COVID, ridimensionato la sua pericolosità o suggerito strambi rimedi. Vere e proprie fake news che non abbiamo esitato a definire bullshit quando vi abbiamo intravisto non solo la volontà di far passare informazioni false ma anche il disinteresse per le conseguenze di quanto affermato".
Sotto la lente dello studio sono finiti atteggiamenti e motivazioni espresse dai presidenti di Usa e Brasile, ma anche casi estremi come quelli di Turkmenistan e Corea del Nord, dove non si parla nemmeno di COVID pubblicamente, fino alla Cina, in cui l'atteggiamento interventista verso l'interno è stato accompagnato da una scarsa comunicazione verso l'esterno del Paese. "Non abbiamo né i dati né le competenze per esprimere un giudizio sull'efficacia di queste diverse disposizioni e sulla loro lettura storica", chiarisce la docente. "La nostra è una comparazione dal punto di vista giuridico sugli strumenti legislativi messi o non messi in campo dai governi. Lo scopo è porre una questione più ampia relativa al rapporto tra scienza e politica. Chi decide in questi casi tra lo scienziato che ha la conoscenza e il politico che ha la responsabilità democratica in capo a sé?".
Seguendo il filo conduttore di queste indagini e aggiungendovi un personale interesse per il Giappone, Bertolini ha approfondito in un secondo studio il caso personale del lockdown dolce messo in campo dal governo di Tokio. "È stato definito anche lockdown etico perché l'ordinamento giapponese non fornisce in effetti al governo gli strumenti per compiere una scelta più coercitiva nei confronti della popolazione. Tra gli obiettivi della costituzione, scritta all'indomani della seconda guerra sotto l'influenza americana, vi era infatti quello di impedire che si potesse ricreare un forte potere esecutivo nel paese e dunque non sono stati previsti nemmeno meccanismi speciali che si possano attivare in situazioni d'emergenza come avvenuto altrove, Italia in primis. Anche nella popolazione, inoltre, è rimasta una diffidenza verso misure restrittive radicali e per questo il governo non ha voluto né potuto fare altrimenti che procedere a un blando lockdown". L'esito, tuttavia, almeno in questo caso sembra essere stato efficace visti i risultati attuali dei contagi sotto il monte Fuji. "Vero", conclude la docente. "Ma ho il sospetto che il distanziamento sia stata facilitato, più che dalle procedure soft, dal fatto di essere un'isola e dunque che la geografia sia stata più determinante della politica".
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