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Tagliando la spesa si riduce la corruzione, non i servizi

, di Fabio Todesco
L'allargamento del Patto di stabilita' interno ai piccoli comuni ha ridotto la corruzione, in media, dell'11%, ma solo in assenza di finanziamenti europei straordinari. Reddito locale e quantita' di servizi erogati non ne hanno risentito, secondo l'analisi di Gianmarco Daniele e Tommaso Giommoni

Un taglio ben congegnato della spesa pubblica può avere l'effetto positivo di ridurre la corruzione dei politici, senza pregiudicare il livello di benessere dei cittadini. Lo dimostrano in un working paper di recente pubblicazione Gianmarco Daniele (Bocconi) e Tommaso Giommoni (ETH Zurich), per il caso italiano del Patto di stabilità interno.

Nel 2013 il Patto di stabilità, che impone limiti alla spesa pubblica locale, è stato esteso ai comuni al di sotto dei 5.000 abitanti. Gli autori hanno, allora, misurato i cambiamenti avvenuti nei comuni appena al di sotto della soglia, confrontandoli con i cambiamenti avvenuti in comuni del tutto simili (quelli appena al di sopra della soglia), per essere certi che i mutamenti osservati dipendessero unicamente dall'introduzione del Patto di stabilità.

Il provvedimento, concludono gli autori, ha determinato una diminuzione media dell'11% nella corruzione, misurata con il numero di indagini aperte, senza nessuna variazione di rilievo nel benessere locale, misurato sia in termini di reddito, sia di 11 indicatori di servizi erogati dal comune, che vanno dal numero e percentuale di bambini che possono frequentare un asilo, all'estensione della rete stradale e dell'illuminazione pubblica, fino alle abitazioni coperte dalla raccolta pubblica dei rifiuti. Nei comuni in cui gli effetti del Patto di stabilità erano più stringenti, la corruzione è diminuita fino al 30%.

L'effetto è più forte nei comuni in cui il sindaco poteva ricandidarsi, negli anni pre-elettorali e per i sindaci più istruiti.

"A nostro parere le due condizioni che hanno contribuito all'efficacia del Patto di stabilità interno", afferma Gianmarco Daniele, "sono state l'esistenza di sanzioni, tanto che il 99% dei Comuni l'ha rispettato, e la forte accountability dei politici locali rispetto all'elettorato in centri così piccoli".

I dati dimostrano che, di fronte a una diminuzione del denaro disponibile, gli amministratori hanno scelto di massimizzare le probabilità di rielezione mantenendo costante il livello dei servizi e riducendo quella che potremmo definire la propria rendita. In teoria, anche il caso inverso sarebbe possibile: se gli amministratori fossero certi della rielezione per via di meccanismi clientelari o perché rassicurati da un voto esclusivamente ideologico, potrebbero infatti optare per un mantenimento della rendita e una riduzione dei servizi.

L'effetto descritto non riguarda, però, i comuni delle sei regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia), il cui Pil è inferiore al 75% della media europea e che, per questo, ricevono significativi fondi europei nell'ambito del Programma di cooperazione territoriale. Tali fondi non sono toccati dal Patto di stabilità e, nei comuni di queste regioni, ammontano al 57% dei finanziamenti per investimenti pubblici, rendendo così assolutamente marginale il taglio sulla restante parte.

Il risultato è di assoluto rilievo sia per chi si occupa di politiche di austerity o di fenomeni corruttivi, sia dal punto di vista dello studioso che del policy-maker. Non per nulla, è già stato presentato due volte a diverse articolazioni della Commissione europea, prima alla DG ECFIN, la Direzione generale per gli affari economici e finanziari, alla quale si deve la progettazione del Patto di stabilità, poi al Joint Research Centre di Ispra.

Gianmarco Daniele, Tommaso Giommoni, Corruption Under Austerity, BAFFI CAREFIN Centre Research Paper No. 2020-131. Available at SSRN, DOI: 10.2139/ssrn.3531683.