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Se le clausole di non concorrenza abbassano gli stipendi

, di Valentina Gatti
Getta luce sul tema l’ultimo paper di Boeri, Garnero e Luisetto, secondo cui urge un intervento dell’Antitrust per limitare tali clausole

Le clausole di non concorrenza, che limitano l'attività professionale del lavoratore dipendente successiva alla cessazione del rapporto di lavoro, sono presenti in modo importante in Usa, un mercato del lavoro flessibile con tassi di turnover elevati. La Federal Trade Commission (l’agenzia americana che tutela la concorrenza  e i consumatori) il 23 aprile 2024 ha proibito l’uso di tali clausole. Queste ultime sono impiegate anche in Europa, Italia compresa. 

Il saggio “Non-compete agreements in a rigid labour market: the case of Italy” (apparso sul Journal of Law, Economics & Organization), redatto da Tito Boeri (Dipartimento di Economia, Bocconi), Andrea Garnero (OCSE) e Lorenzo Giovanni Luisetto (University of Michigan), indaga proprio l’utilizzo delle clausole di non concorrenza nel nostro paese, in cui il mercato del lavoro è rigido, vigono rigide norme di tutela dell’occupazione e tutti i dipendenti sono, almeno sulla carta, soggetti alla contrattazione collettiva. Tuttavia, quest’ultima non ricopre alcun ruolo nel regolare il ricorso a tali clausole, mentre la legge specifica solo i requisiti formali che ne permettono l’utilizzo. Nel dettaglio, le clausole di non concorrenza sono legittime solo se il dipendente riceve un corrispettivo, ha accesso a informazioni riservate e sono limitate nel tempo e nello spazio. 

La ricerca prende in considerazione un campione rappresentativo di 2 mila occupati in numerosi settori e lavori in Italia. Emerge una certa pervasività nel nostro paese delle clausole di non concorrenza: circa il 16% dei lavoratori del settore privato ne sono vincolati, con un’incidenza leggermente inferiore agli Stati Uniti. Tali clausole sono particolarmente frequenti tra dipendenti con un basso livello di istruzione, che svolgono occupazioni manuali ed elementari a bassa retribuzione, che non hanno accesso a qualsiasi tipo di informazione riservata, né hanno ricevuto formazione e/o non hanno ben definiti tempi, settori e limiti geografici dell’applicazione delle clausole. Inoltre, in più di due terzi dei casi le clausole non sembrano rispettare i requisiti minimi fissati dalla legge. Queste ultime risultano pertanto inapplicabili. Ciononostante, i lavoratori non sono consapevoli di tali requisiti minimi mancanti, temono sanzioni in caso di violazioni e si comportano come se tali clausole fossero efficaci, temendo azioni legali da parte dei loro datori di lavoro. Che a loro volta trovano terrendo fertile per abusare delle clausole di non concorrenza.

Inoltre, tali clausole riducono la mobilità dei lavoratori (già bassa rispetto agli standard internazionali) e danno luogo al monopsonio, ossia al potere dei datori di lavoro, che possono permettersi di pagare meno i dipendenti: ciò può contribuire a spiegare perché gli stipendi nel nostro paese sono così bassi, contribuendo ad ampliare le disuguaglianze salariali. Nel caso dei lavoratori poco qualificati, le clausole di non concorrenza costituiscono un maggiore deterrente all’abbandono di un lavoro rispetto al caso dei lavoratori più qualificati, che godono di un maggiore potere contrattuale. 

Alla luce delle conseguenze sul mercato del lavoro delle clausole di non concorrenza, secondo gli autori occorre promuoverne un uso più equo e rafforzare tutela e trasparenza del processo negoziale. A tal fine, l’antitrust italiana dovrebbe occuparsi della questione delle clausole di non concorrenza, visti i loro effetti sulla concorrenza sul mercato dei prodotti. 

Sarebbe urgente anche un intervento da parte dei sindacati, con una vera e propria campagna di informazione tra lavoratori, sindacati, datori di lavoro e direttori del personale, per rendere i dipendenti più consapevoli dei loro diritti e, più in generale, sensibilizzare sul tema l’opinione pubblica. Potrebbe essere utile accompagnare ogni clausola di non concorrenza a un riferimento esplicito all’articolo 2125 del Codice Civile, che indica i requisiti minimi per la validità della clausola. Infine, sarebbe utile segnalare nelle comunicazioni obbligatorie all’Inps la presenza o meno delle clausole di non concorrenza, al fine di indurre a un loro impiego più cauto.

TITO MICHELE BOERI

Bocconi University
Dipartimento di Economia