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La disoccupazione crea criminalita'. Una conferma dal Brasile

, di Fabio Todesco
Un eccezionale database ha permesso a un team di ricerca della Bocconi e dell'Universita' di Pernambuco di stimare un aumento del 23% delle probabilita' di azione penale contro chi perde il lavoro. L'effetto, causato dalla mancanza di liquidita', interessa sia i reati di natura economica, sia quelli di natura violenta e vale anche per i figli conviventi

Un nuovo studio sul legame tra disoccupazione e criminalità lascia presagire un quadro cupo del nostro futuro dopo i licenziamenti causati dalla crisi da COVID. Sfruttando dati a livello individuale sull'universo dei lavoratori maschi e sui casi criminali in Brasile nel periodo 2009-2017, Diogo Britto e Paolo Pinotti (CLEAN, un'unità di ricerca del Centro Baffi-CAREFIN della Bocconi), insieme a Breno Sampaio (Università Federale di Pernambuco), osservano che la perdita del lavoro a causa di un licenziamento collettivo porta a un aumento del 23% delle probabilità di essere soggetti a un'azione penale.

La probabilità di un'azione penale aumenta al momento stesso della perdita del posto di lavoro e rimane costante negli anni successivi, a meno che il lavoratore non sia coperto dall'assicurazione nazionale contro la disoccupazione, che garantisce l'80% del salario per i tre-cinque mesi successivi al licenziamento. Anche in questo caso, però, alla scadenza dell'assicurazione la criminalità aumenta.

L'effetto osservato riflette un aumento sia dei reati a sfondo economico (+43%) sia dei reati violenti (+17%) ed è notevolmente più forte per i gruppi che hanno maggiori probabilità di avere problemi di liquidità con la perdita del posto di lavoro, ovvero i lavoratori più giovani, quelli assunti da poco e con un basso livello di istruzione. Tuttavia, la probabilità di commettere reati aumenta significativamente per tutti i gruppi - compresi i lavoratori con un reddito superiore alla mediana, anche se in misura minore. Si osserva anche un effetto di ricaduta della perdita del lavoro dei genitori sul comportamento dei figli. In particolare, la probabilità di commettere un reato aumenta in media del 18% per i figli maschi conviventi di lavoratori licenziati.

Mentre la teoria ha già previsto un collegamento tra disoccupazione e criminalità, l'evidenza empirica è sempre stata scarsa a causa della mancanza di dati individuali. Il ricco dataset utilizzato dagli autori, invece, permette di confrontare il comportamento dei lavoratori coinvolti da un licenziamento collettivo e dei lavoratori con le stesse caratteristiche, che non hanno sperimentato il licenziamento.

Gli autori riescono anche a far luce sui meccanismi che portano dalla disoccupazione alla criminalità. "I nostri risultati supportano le spiegazioni economiche, in primo luogo la mancanza di liquidità, rispetto alle ipotesi alternative", dice Britto. "Inoltre, l'aumento di tutti i tipi di reato, compresi quelli senza motivazione economica, come quelli collegati agli incidenti stradali, suggerisce che anche lo stress psicologico per la perdita del lavoro gioca un ruolo importante".

"Nei periodi di crisi dell'occupazione", conclude Pinotti, "il sostegno al reddito dovrebbe essere accompagnato da politiche attive, volte ad accelerare il ritorno all'occupazione e a garantire un reddito stabile piuttosto che un'assistenza temporanea al reddito. Inoltre, sia le politiche passive che quelle attive dovrebbero essere rivolte ai gruppi più vulnerabili, perché tali gruppi sono più esposti al rischio di povertà al momento del licenziamento e di conseguenza hanno maggiori probabilità di commettere reati".

Diogo Britto, Paolo Pinotti, Breno Sampaio, "The Effect of Job Loss and Unemployment Insurance on Crime in Brazil", IZA Discussion Paper No 13280.

Ascolta Diogo Britto al podcast di The Brazilian Report, "Explaining Brazil" (in inglese)