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Diversificare si', ma tra paesi o tra settori?

, di Tomaso Eridani
Secondo uno studio Carefin Bocconi, i maggiori benefici di un approccio settoriale sono finiti nel 2003 ed e' meglio una diversificazione di portafoglio a due livelli, prima geografica e poi settoriale

Rilevati a partire dalla fine degli anni '90 da alcuni studi accademici e incorporati nella prassi di investimento di molti operatori, i maggiori benefici di un approccio settoriale alla diversificazione di portafoglio sono in realtà spariti assieme alla bolla high-tech del periodo 1998-2003, secondo un recente studio del Carefin Bocconi, condotto da Marco Navone (Università Bocconi) ed Emilio Grisolia (Credit Suisse). E secondo lo studio, che ha analizzato i rendimenti azionari di 18 paesi e 18 settori industriali dal 1992 al 2007, la diversificazione migliore è ora per grandi aree geografiche e poi, all'interno di queste, tra settori.

Fin dagli anni '70 la ricerca accademica ha dimostrato che azioni di società operanti in Paesi diversi tendono ad essere relativamente indipendenti, e dunque un investitore globale può ridurre notevolmente la volatilità del proprio portafoglio attraverso la diversificazione internazionale. Recentemente però molti operatori hanno modificato la struttura dei propri portafogli passando da una diversificazione tra paesi a una tra settori industriali. In un'indagine condotta da Goldman Sachs nel 1998 due terzi degli operatori intervistati hanno affermato che in seguito all'introduzione dell'euro avrebbero ristrutturato le proprie attività di ricerca e di investimento lungo linee settoriali invece che geografiche. L'idea era che dopo trent'anni di integrazione economica i diversi mercati azionari nazionali sono diventati molto correlati, e quindi è possibile ottenere una migliore diversificazione lavorando sui settori.

Nel recente working paper del Carefin Bocconi, Centro per la Ricerca Applicata in Finanza, Marco Navone (Bocconi) ed Emilio Grisolia (Credit Suisse) analizzano l'efficacia di questo cambiamento. Gli autori confermano che alla fine degli anni '90 la correlazione tra diversi settori industriali è risultata inferiore a quella tra paesi (40% contro 68%), rendendo più efficace la diversificazione tra settori. Tuttavia, avanzano due possibili spiegazioni alternative: da un lato il processo di integrazione internazionale (c.d. ipotesi dell'integrazione), dall'altro il comportamento anomalo dei titoli tecnologici alla fine degli anni '90 che ha portato a una forte riduzione della correlazione tra settori (ipotesi della bolla speculativa).

Distinguere tra queste due ipotesi è essenziale: se la spiegazione corretta è l'integrazione economica, allora la superiorità della diversificazione settoriale è duratura; se invece fosse confermato che tutto è dovuto alla bolla speculativa, sarebbe logico aspettarsi un ritorno alla situazione antecedente e lo spostamento verso la diversificazione settoriale risulterebbe, alla fine, controproducente.

La ricerca Carefin Bocconi analizza i rendimenti azionari di 18 paesi e 18 settori industriali dal 1992 al 2007. A differenza che in altri studi precedenti, i dati per il periodo successivo alla bolla high tech sono abbastanza numerosi da consentire una verifica delle due ipotesi sopra descritte.

Attraverso una pluralità di analisi statistiche, Navone e Grisolia concludono a favore dell'ipotesi della bolla: la superiorità della diversificazione settoriale scompare infatti dopo il 2003. Essi tuttavia rilevano anche che negli anni '90 l'integrazione internazionale è effettivamente avvenuta, e la correlazione media tra paesi è raddoppiata. Di conseguenza, negli ultimi due anni le due strategie di diversificazione hanno prodotto una performance molto simile. Dunque, se la scelta di sposare la diversificazione settoriale non ha apportato benefici di lungo periodo, tuttavia essa non ha nemmeno danneggiato il profilo di rischio e rendimento dei portafogli.

Gli autori segnalano inoltre anche che la maggior parte dei benefici della diversificazione geografica possono essere ottenuti ripartendo il portafoglio su poche grandi aree (America, Europa e Asia) piuttosto che sui singoli paesi. "La scelta vincente sembra quindi essere un processo di diversificazione a due livelli," dice il professor Navone. "Gli investitori dovrebbero dapprima allocare la loro ricchezza sulle tre aree continentali e poi, all'interno di ognuna di queste, considerare i diversi settori industriali."