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Divario retributivo di genere, c'e' ancora strada da fare

, di Weiwei Chen
Il gender pay gap e' un problema comune a tutti i paesi europei, ma servono politiche specifiche. Un rapporto di tre ricercatrici della Bocconi, commissionato dal Parlamento europeo, fornisce un'analisi approfondita e raccomandazioni per eliminare le disuguaglianze salariali

Il progresso nella riduzione del divario retributivo di genere si è arrestato negli ultimi anni in tutti i paesi europei. Attualmente, le donne che lavorano nell'Unione europea (UE) guadagnano in media il 14,1% in meno all'ora rispetto alle loro controparti maschili. In linea di principio, però, "la parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore" è una regola valida in ogni stato membro dell'UE.

Con l'obiettivo di capire le soluzioni politiche che garantiscano di proseguire sulla strada dell'eliminazione delle disuguaglianze salariali, Paola Profeta, professoressa ordinaria di scienze delle finanze all'Università Bocconi e direttrice dell'AXA Research Lab on Gender Equality, Maria Lucia Passador (Harvard Law School, Università del Lussemburgo e Bocconi) e Ximena Calò, ricercatrice junior dell'AXA Research Lab, hanno condotto un'analisi comparativa sulla situazione attuale nell'UE in Reporting Obligations Regarding Gender Equality and Equal Pay, uno studio commissionato dal Policy Department for Citizens' Rights and Constitutional Affairs del Parlamento europeo su richiesta della commissione JURI.

Il problema del gender pay gap risiede nella sua complessità, essendo intrinsecamente legato ad altre forme di squilibrio di genere. Infatti, "le donne nell'UE rappresentano i principali fornitori di lavoro non retribuito in ambito domestico e nella cura dei bambini, il che significa che molte donne si trovano ad affrontare un compromesso tra essere madri ed entrare nella forza lavoro", dice Calò. Per esempio, "l'Italia, il Belgio e alcuni paesi dell'Europa dell'Est riportano un divario salariale di genere del 5% o meno, che è significativamente inferiore alla media dell'UE". Tuttavia, entrando nel dettaglio, questo è dovuto principalmente al fatto che questi paesi mostrano bassi tassi di occupazione femminile e le donne che sono in grado di lavorare tendono ad essere ben istruite e ben retribuite, il che consente loro di permettersi servizi privati per l'infanzia", conclude Calò.

Ore di lavoro retribuite e non per genere nell'UE

Fonte: Elaborazione dell'autore su dati Eurostat 2015 (ultimi disponibili)
Per lo studio sono stati scelti sei paesi, ovvero Danimarca, Francia, Germania, Islanda, Italia e Spagna. "La selezione dei paesi è stata fatta attentamente per rappresentare la situazione della parità salariale nella regione, e si è quindi basata sulla geografia, sugli indicatori di gender gap, sul quadro giuridico di ogni paese e sui loro recenti sviluppi nella dimensione legale e politica. L'analisi suggerisce che anche se si applicano le condizioni generali, i contesti e le specificità degli stati membri rimangono rilevanti".

Non esiste una soluzione unica per tutti i paesi. È necessaria una soluzione cooperativa a livello politico e aziendale, e a livello nazionale e sovranazionale. Tra gli altri suggerimenti, il rapporto raccomanda che "a livello nazionale, la trasposizione del principio in questione dovrebbe essere adattata alle caratteristiche del contesto geografico e socio-economico di ogni Stato membro. Inoltre, è fondamentale che i responsabili politici sviluppino politiche di welfare in relazione al ruolo di genitore, all'equilibrio tra lavoro e vita privata, e al congedo parentale, per permettere alle donne di dedicarsi al lavoro in modo efficace ed efficiente".

In tal senso, merita di essere ricordata una recente legge italiana, la Legge sulla parità retributiva, per le pari opportunità tra uomini e donne sul posto di lavoro. La nuova legge obbliga le aziende con più di 50 dipendenti a rivelare informazioni sui guadagni per genere. Inoltre, introduce un sistema di bonus che fornisce incentivi ai datori di lavoro per prevenire potenziali divari retributivi e promuovere una cultura delle pari opportunità.