Compliance, sempre piu' strategica per gli intermediari finanziari
La funzione compliance, presidio obbligatorio voluto da Banca d'Italia, Consob e Isvap per il controllo del rischio di non conformità alle "regole del gioco" esterne ed interne, si sta radicando sempre più nella struttura aziendale, sia a livello di organigramma che di sistema dei controlli interni, conquistandosi una certa autonomia e con budget indipendenti più diffusi rispetto al passato.
E' questo, in sintesi, quanto emerge dalla ricerca realizzata dalla Divisione Ricerche "Claudio Demattè" della Sda Bocconi in collaborazione con SIA-SSB e AICOM (Associazione italiana compliance) sull'evoluzione della funzione compliance e il compliance risk nei servizi di investimento in fase di implementazione della direttiva comunitaria Mifid.
La ricerca, che prosegue ed amplia l'indagine condotta nel 2007, ha coinvolto complessivamente 84 intermediari (55 con operatività italiana e 29 internazionale) tra banche, società di gestione risparmio, società di intermediazione mobiliare e, per la prima volta, anche le assicurazioni. Negli ultimi anni la funzione compliance è diventata obbligatoria per le banche (normativa Banca d'Italia del luglio 2007), per le società di investimento (regolamento congiunto Consob-Banca d'Italia dell'ottobre 2007) e, di recente, per le assicurazioni (regolamento Isvap del marzo 2008).
Rispetto alla prima edizione dello studio, si rileva il deciso adeguamento alle disposizioni normative in termini di posizionamento della funzione compliance nell'organigramma aziendale e nel sistema dei controlli interni. La dimensione media della funzione rimane però sostanzialmente invariata, compresa tra 1 e 5 risorse "full time" nel 64% dei casi rilevati. L'autonomia della funzione è garantita nel 46,4% dei casi dalla presenza di un budget indipendente (contro il 31,4% nel 2007).
Due anni fa si registravano solo timidi tentativi di elevare la posizione della compliance, mentre le evidenze del 2009 confermano invece la tendenza diffusa a riconoscere alla funzione dignità e indipendenza del tutto analoghe a quelle dell'internal audit. Quasi la metà (42%) degli intervistati ha operato la scelta di riporto diretto al consiglio di amministrazione o all'amministratore delegato (15,5%).
"In tempi relativamente rapidi e con qualche differenziazione per dimensione degli operatori - spiega Paola Musile Tanzi, responsabile dell'Area intermediazione finanziaria e assicurazioni di Sda Bocconi e coordinatrice della ricerca - la compliance ha conquistato la posizione negli organigrammi che la normativa le assegna, ossia di funzione aziendale autonoma e indipendente, ora però per consentirle di svolgere un ruolo davvero strategico capace di diffondere i valori di compliance in tutta la realtà aziendale occorre prestare attenzione alle interazioni tra la funzioni compliance e il business e tra la funzione compliance e il personale. La presenza solo sporadica della compliance nel Comitato Nuovi Prodotti e la scarsa presenza dei principi di compliance nel sistema incentivante aziendale possono essere indicatori di una funzione compliance ancora intesa in senso più formale che sostanziale."
Nell'indagine attuale la frenata nel sostenimento dei costi appare generalizzata e emerge un quadro complessivo di incertezza e di prudenza rispetto agli investimenti da compiere nella funzione. La crisi del settore spinge a contenere tutti i costi, ma, alla luce di quanto accaduto recentemente, secondo gli autori della ricerca, non si dovrebbe arrivare alla drastica flessione di quelli relativi alla compliance.
Un elemento che caratterizza il processo di risk management e che ne disegna il potenziale impatto organizzativo è l'obiettivo che viene associato all'intera attività. Riguardo alle priorità assegnate alla funzione compliance, rimangono sostanzialmente invariati (29,8%) gli intermediari che le assegnano la finalità di minimizzare le sanzioni civili, amministrative e penali. Aumentano dal 20,3% al 33,3% quelli che ritengono sia maggiormente importante ottimizzare la reputazione dell'impresa. Il 23,8% del campione riprende fedelmente la definizione del Comitato di Basilea, adottata poi dalla Banca d'Italia, indicando di non volere incorrere in sanzioni e minimizzare i danni reputazionali.
Il 76% degli intermediari che svolgono attività domestica e il 78% degli intermediari operativi a livello internazionale ritengono che la funzione compliance possa svolgere un ruolo propulsivo nei processi di innovazione che riguardano la prestazione di servizi di investimento. Da quanto emerge, la compliance riconosce il suo ruolo, tuttavia i processi aziendali sono spesso ancora poco strutturati per sostenerlo.
Con riguardo al ruolo della funzione compliance nel processo di implementazione della direttiva Mifid, anche in questa rilevazione i risultati riflettono la netta interpretazione del ruolo prevalentemente in chiave consulenziale (52,4% del campione) e propulsivo (47,6%), meno evidente in fase di attuazione (14,3%). La spinta propulsiva è presente in modo particolare nelle realtà con operatività internazionale. Su questo fronte, probabilmente vi è una curva di apprendimento delle potenzialità intrinseche al ruolo della funzione compliance ancora da percorrere da parte di alcune delle realtà domestiche.
A livello di microstruttura organizzativa, ancora solo il 44% dei casi dispone di applicativi tecnologici dedicati, situazione questa sostanzialmente invariata rispetto alla precedente indagine. Nel complesso, anche nell'ambito di questa nuova indagine, l'utilizzo dell'IT – in termini sia qualitativi sia quantitativi – e le relative politiche di investimento configurano una funzione compliance – salvo pochissime eccezioni - ancora ad uno stadio iniziale.