Brexit: i dati mostrano che la globalizzazione, e non l'immigrazione, ha determinato l'esito
Non l'immigrazione, ma i cambiamenti economici dovuti all'esposizione di lungo periodo alle importazioni cinesi hanno determinato l'esito del referendum sulla Brexit, secondo un instant sudy di Italo Colantone e Piero Stanig, rispettivamente economista e politologo presso l'Università Bocconi.
Gli studiosi analizzano l'esito del referendum britannico in 39 distretti elettorali e, per ciascuno di essi, osservano due misure di immigrazione (la quota di residenti nati al di fuori del Regno Unito e i nuovi flussi nell'anno 2014). Non trovano alcuna relazione tra immigrazione e il supporto per il Leave. Se non altro, si osserva una relazione negativa, determinata dall'inclusione di Londra: le aree con più immigrati hanno sostenuto il Remain. Escludendo Londra dall'analisi, l'immigrazione risulta essere del tutto irrilevante.
Colantone e Stanig, quindi, costruiscono un indicatore dello shock da importazioni per ciascun distretto elettorale, misurando l'esposizione alle importazioni cinesi. L'idea generale è che quanto più un'area è specializzata in settori in concorrenza coi cinesi (come il tessile e i prodotti elettronici), tanto maggiore è l'esposizione. "E troviamo un rapporto forte e statisticamente significativo tra la forza dello shock da importazioni e la quota del Leave nel referendum", dicono.
"Gli elettori hanno colpito il bersaglio sbagliato", dicono gli autori. "La ragione della loro angoscia non è l'immigrazione, ma una forma di globalizzazione che, in assenza di adeguate politiche redistributive, crea vincitori e vinti".
L'analisi fa seguito a un paper accademico dagli stessi autori (The Trade Origins of Nationalist Protectionism: Import Competition and Voting Behavior in Western Europe), che individua l'esposizione alla concorrenza cinese come la ragione dei risultati elettorali dei partiti nazionalisti e protezionisti in tutta Europa.