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Anche nel prestito sindacato qualcuno e' piu' uguale degli altri: chi piu' presta, piu' guadagna

, di Issam Hallak
I grandi prestatori nei sovereign syndicated loans ottengono remunerazioni più alte degli altri perché possono fornire una serie di servizi in caso di crisi di liquidità, rileva Issam Hallak in un articolo scritto con Paul Shure

In Why Larger Lenders Obtain Higher Returns: Evidence from Sovereign Syndicated Loans, (Financial Management, Summer 2011, volume 40, issue 2, pages 427-453, doi: 10.1111/j.1755-053X.2011.01148.x), Issam Hallak (Dipartimento di Finanza) e Paul Schure (University of Victoria) rilevano che le istituzioni che prestano grandi quantità di denaro ottengono margini superiori rispetto a quelle che prestano somme più contenute. La dimostrazione utilizza un dataset di prestiti sindacati a enti sovrani (sovereign syndicated loans). In un accordo di prestito sindacato una molteplicità di prestatori finanzia un singolo prenditore (nel dataset di Hallak e Schure i prenditori sono enti sovrani, come governi nazionali o banche centrali). Dal momento che in un accordo di prestito sindacato tutti i finanziatori trattano con lo stesso prenditore, il rischio per dollaro prestato è lo stesso per tutti i finanziatori e anche il ritorno percentuale dovrebbe essere lo stesso. Però Hallak e Schure rilevano che ciò non accade e che i partecipanti al sindacato di maggiori dimensioni ottengono ritorni superiori rispetto agli altri. I prestatori ricevono significative fee al momento dell'accordo, denominate signing fee o upfront fee. Queste signing fee crescono all'aumentare del finanziamento fornito dal prestatore, anche in termini di percentuale rispetto all'ammontare del finanziamento. Nel loro campione di prestiti sindacati contratti da governi nei paesi in via di sviluppo tra il 1982 e il 2006, gli autori osservano che il ritorno percentuale lordo ottenuto dai finanziatori più grandi supera dell'8,5% quello ottenuto dai finanziatori più piccoli presenti nel sindacato. Lo studio cerca di comprendere quale sia l'origine di questo sorprendente fenomeno. Ne risulta che i finanziatori più grandi ottengono ritorni maggiori perché ci si aspetta che intervengano nel caso in cui il prenditore incappi in una crisi di liquidità.

Gli autori testano due ipotesi per spiegare il fenomeno. La prima asserisce che i grandi finanziatori forniscono utili servizi nel caso in cui il debitore sovrano fosse impossibilitato a ripagare il debito a causa di una mancanza di liquidità (il cosiddetto rischio liquidità). La seconda ipotesi asserisce che i prenditori riconoscono un ritorno maggiore ai grandi finanziatori nel tentativo di trattare con un numero inferiore di finanzatori nel sindacato. Un numero inferiore di prestatori potrebbe, per esempio, facilitare il rinnovo del prestito o facilitarne la rinegoziazione nel caso in cui si rendesse necessario un finanziamento ulteriore. Hallak e Schure cercano di testare anche una terza ipotesi, cioè che le banche siano dei finanziatori speciali. Una ragione per cui le banche potrebbero essere speciali è quella sostenuta da un filone di letteratura che mostra come le banche, nel loro complesso, tendano ad attrarre più depositi in caso di shock al sistema finanziario. In caso di shock i prenditori potrebbero trovarsi in difficoltà e le banche potrebbero utilizzare i loro fondi in eccesso per aiutarli a uscirne.

Hallak e Schure adottano un modello statistico a equazioni simultanee. La loro analisi respinge l'ipotesi che il prenditore utilizzi le signing fee per raggiungere un obiettivo in termini di numero di finanziatori. Invece i risultati mostrano che gli indicatori del rischio liquidità dei prenditori e la distribuzione dell'informazione sono statisticamente significativi. Ciò è compatibile con l'ipotesi che i grandi finanziatori forniscano servizi in tempi di carenza di liquidità. Gli autori rilevano anche che una maggiore quota di banche tra i grandi finanziatori si traduce in ritorni maggiori per tali finanziatori. Questo risultato è compatibile con l'ipotesi che le banche abbiano una maggiore capacità di fornire servizi di liquidità. Gli autori sono però molto cauti nell'interpretazione di quest'ultimo risultato perché nel loro campione la quota di banche tra i grandi finanziatori è sempre molto alta.

Il paper aiuta a interpretare l'attuale crisi dei debiti sovrani in Europa, a dispetto del fatto che la gran parte del debito sovrano denominato in euro sia costituito da bond. Molti governi dell'Unione, compresi quelli di Francia e Germania, hanno recentemente individuato alcune loro banche, ovvero i grandi detentori del debito greco, per avviarne la rinegoziazione. Così, analogamente a quanto descritto da Hallak e Schure, i grandi finanziatori stanno sopportando più della loro parte di costo associato ai problemi di liquidità del governo greco. È però molto improbabile che chi è entrato in quel mercato prevedesse un trattamento asimmetrico dei grandi e piccoli creditori all'atto di investire in debito greco. Per esempio, le grandi banche non hanno mai ricevuto un signing fee. Hallak e Schure implicano, perciò, che l'attuale stato delle cose avrà con ogni probabilità effetti di lungo termine sulle condizioni alle quali le banche saranno disposte a investire in future emissioni di bond di enti sovrani.