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Porti e trasporti: la fine di un super ciclo

, di Andrea Celauro
In un volume di Sergio Bologna l'evoluzione del settore della portualità e del trasporto delle merci per mare. Come i fulgori del super cycle 2002-2007 si sono spenti nella crisi
Sergio Bologna
Le multinazionali del mare.
Letture sul sistema marittimo-portuale
Egea, 2010, 340 pagine, 28 euro

Il trasporto delle merci via mare, lo shipping, è un settore che a partire dagli anni 90 ha fatto segnare numeri particolarmente positivi: tra il 1990 e il 2007, il volume di container trasportati è passato da 25 milioni a 125 milioni di Teu (la misura standard di volume del container), con l'ultimo quinquennio di questa fase (2002-2007) chiamato addirittura super cycle per i risultati registrati. Una parabola, indica Sergio Bologna in Le multinazionali del mare. Letture sul sistema marittimo-portule (Egea, 2010, 340 pagg. 28 euro), caratterizzata dall'ingresso del privato nel business della portualità, a sua volta profondamente cambiata dalla rivoluzione intermodale degli ultimi decenni. Con l'arrivo della crisi, però, il super ciclo si è interrotto bruscamente.

Il volume di Sergio Bologna dipinge a tutto tondo questo enorme mercato, mostrando come si sono evoluti attori protagonisti e investimenti e ricostruendo le tappe che hanno portato la navigazione mercantile a trasformarsi da trasporto di merci a trasporto di contenitori, con l'introduzione dei container. E analizzando come è cambiato il volto dei porti mondiali, con lo spostamento del baricentro della grande portualità verso Oriente e la trasformazione dei porti in terminal caratterizzati da processi simili a quelli industriali e attrezzati per ospitare navi sempre più grandi. Con l'intermodalità, garantita dall'introduzione dell'unità di carico rappresentata dal container, "l'organizzazione del lavoro portuale tende ad assumere le caratteristiche di un sistema industriale le cui operazioni hanno un ordine sequenziale rigido che ha richiesto il ridisegno del layout della banchina", scrive Bologna. Una rivoluzione, l'intermodalità, che tuttavia non è esente da criticità, legate tanto ai vincoli economici e operativi delle navi che all'organizzazione e alla struttura dei terminal. La crisi ha rimesso in gioco i risultati di un intero settore cresciuto molto in fretta. È arrivata proprio quando grandi banche e compagnie private stavano investendo nello shipping con navi dal tonnellaggio sempre più imponente. Alcune avvisaglie della bufera imminente erano però già evidenti nel 2007, l'ultimo anno del super cycle: "In quell'anno", scrive l'autore, "un terzo dei container in export dagli Stati Uniti per il Far East conteneva carta da macero, fieno, rifiuti di plastica, rottame metallico. Ma soprattutto aria. Dovessimo classificare l'aria come una merce, dovremmo metterla al primo posto tra i beni trasportati dalle navi portacontainer". Per dare un ordine di grandezza, "sarebbero più di 50 milioni i pezzi che hanno navigato vuoti". Una crisi di domanda che tuttavia non ha spinto alla prudenza i grandi armatori, i quali non hanno rinunciato (o hanno solo ridimensionato) gli investimenti nella flotta di navi. Perché? "Perché chi doveva effettuare le scelte di investimento aveva altre priorità. Le quote di mercato innanzitutto, quote da difendere a costo di rimetterci in termini di reddività". I porti, anche quelli italiani ai quali sono dedicati diversi passaggi dell'analisi di Bologna, sono stati caratterizzati negli ultimi venti anni da una profonda trasformazione segnata dalle privatizzazioni. Privatizzazioni "non avvenute perché il pubblico ha abdicato al suo ruolo, ma che si sono svolte in uno stretto intreccio tra pubblico e privato". Con la crisi, poi, il ruolo dello stato "torna a essere vitale come ancora di salvezza, ma il deficit della finanza pubblica di paesi europei con forte portualità, quali Olanda, Spagna, Italia, Grecia, pone un grosso interrogativo sulle risorse disponibili, non tanto per i nuovi investimenti, quanto per portare a termine quelli programmati". Inoltre, sottolinea Bologna, la rivoluzione industriale dei porti può aver vinto la sua battaglia nell'interfaccia mare/banchina, "ma la sta perdendo nell'interfaccia porto/hinterland", motivo per cui è in atto un ripensamento della concezione della portualità verso forme di "porto decentrato", diffuso sul territorio. "Questo processo di regionalizzazione", però, "richiederebbe nuove forme di governance perché le Autorità portuali, e ancora meno i sigoli terminal, hanno scarsi poteri di organizzare la pluralità di infrastrutture richieste nella regione portuale da un sistema integrato". Sergio Bologna svolge attività di consulenza per istituzioni e grandi imprese. Ha coordinato il settore trasporto merci e logistica del Piano generale dei trasporti (1998-2000). È membro del bord di Acta (Associazione consulenti terziario avanzato)