“Nella Permacrisi la sfida più grande è la crescita sostenibile”
"Il mondo sta cambiando e non necessariamente in meglio. Siamo al centro di una permacrisi che deriva da approcci obsoleti alla crescita, alla gestione economica e alla governance globale. Riconoscerlo è il primo passo per trasformare la crisi in un'opportunità". Così Michael Spence, economista e premio Nobel nel 2001, spiega la decisione presa insieme ai colleghi Gordon Brown e Mohamed A. El-Erian di raccontare la complessità del periodo storico che stiamo vivendo nel libro "Permacrisis", edito da Egea.
Il punto di partenza del saggio, che offre una cassetta degli attrezzi per comprendere l'attualità e ipotizzare strategie di uscita dalla stagnazione economica verso cui si stanno muovendo le economie avanzate, è una fotografia delle difficoltà del mondo attuale. L'economista si concentra sulle molteplici crisi del nostro tempo: dalla crescita stagnante all'inflazione alle politiche governative inadeguate, dall'emergenza climatica all'aggravarsi delle disuguaglianze con i nazionalismi in pieno svolgimento e l'impasse della cooperazione globale. "La prima grande sfida", dice Spence, "è comprendere i continui shock che stiamo vivendo, sconvolgimenti che toccano aree diverse. Penso ai cambiamenti climatici, alle guerre, alle pandemie o alla crisi della catena di approvvigionamento. Tutti fenomeni che si sono verificati in un periodo limitato e che portano le persone a credere di vivere in un'epoca anomala". In realtà, come si legge nel testo, le crisi a cascata sono una condizione che ci accompagnerà per molto tempo. "Non torneremo al mondo della globalizzazione che ha prevalso fino a poco tempo fa, per gran parte del decennio successivo alla seconda guerra mondiale", chiarisce Spence, "ed è per questo che dobbiamo agire ora per migliorare la situazione. Dovremmo cercare di contrastare la frammentazione dell'economia globale investendo in leve fondamentali come la produttività e la tecnologia e riformando le istituzioni per la cooperazione internazionale". Dall'OMC al FMI.
In un contesto di crisi continue, i Paesi del mondo devono (e possono), secondo il Premio Nobel, imparare a progettare nuovi modelli di crescita "senza commettere gli errori del passato". E il riferimento è all'era neoliberista degli anni Ottanta, tra privatizzazioni e deregolamentazione, o al modello di industrializzazione guidata dalle esportazioni che ha portato i Paesi dell'Asia orientale al boom economico. Cina in primis. Modelli che hanno contribuito ad aggravare la crisi climatica e ad allargare le disuguaglianze. "Abbiamo bisogno di un modello di crescita sostenibile", afferma Spence. "Un primo passo è recuperare il terreno perduto sul fronte della produttività. Dal 2000 si è registrato un continuo calo del tasso di crescita della produttività del lavoro, con alcuni settori più colpiti di altri. Se penso all'Italia, tra i settori più in difficoltà ci sono il settore pubblico, il settore sanitario, le istituzioni governative e la scuola. A livello globale, invece, la produzione e la crescita rimangono elevate nei beni commerciabili: nel settore tecnologico e in alcune parti del mondo finanziario. Solo negli Stati Uniti, il Bureau of Labor Statistics stima che dal 2005 si siano persi 10.900 miliardi di dollari a causa della produttività ferma. Spence sottolinea poi il fatto che vivremo in un mondo con un'inflazione strutturale. "Con l'eccezione della Cina, che per ora è in deflazione e il problema principale è la carenza di domanda aggregata, nelle economie avanzate i limiti sono sul lato dell'offerta (di produzione, ndr) e non su quello della domanda. L'inflazione in Europa sta scendendo ora, ma in caso di nuovi picchi di domanda ci troveremo con catene di produzione che ancora una volta faticano a tenere il passo".
In questo contesto, un'importante fonte di crescita verrà dalla tecnologia, in particolare dalla tecnologia digitale e dalla Gen AI. Il progresso tecnologico può infatti contribuire a creare le condizioni per ridurre le disuguaglianze e invertire il declino della produttività. Dice Spence: "Da questo punto di vista stiamo vivendo un'epoca straordinaria. Pensiamo alla rivoluzione digitale, all'Ai e alle scoperte nelle scienze della vita o all'innovazione per la transizione energetica. La tecnologia può già aiutare le persone a creare valore aggiunto nelle loro attività quotidiane. Penso alla professione medica o agli ingegneri del software che scrivono codici". E aggiunge: "Se oggi facessimo un sondaggio per strada sull'intelligenza artificiale, la maggior parte delle persone risponderebbe che l'Ai ruberà loro il lavoro. Si tratta di una preoccupazione comprensibile, perché molti pensano che l'intelligenza artificiale riguardi la completa automazione, ovvero la sostituzione degli esseri umani con macchine digitali. Ma invece di "automazione" credo sia più sensato parlare di "collaborazione uomo-macchina o aumento"". Per Spence, l'agenda pubblica dovrebbe quindi concentrarsi "non solo sul contenimento dei rischi associati all'intelligenza artificiale, ma anche sull'IA come leva per la crescita". Sia per la creazione di posti di lavoro che di reddito. Inoltre, i Paesi dovrebbero garantire l'accesso alle piccole imprese.
Per contrastare la frammentazione dell'economia globale, secondo il professore, occorre infine affrontare la questione geopolitica. Senza cavalcare l'onda crescente del nazionalismo e dell'unilateralismo negli Stati Uniti, in parte in Europa e nel resto del mondo. Il discorso", sottolinea, "è analogo a quello della lotta al cambiamento climatico. Non si possono mettere in atto azioni efficaci per la crescita sostenibile a livello globale senza nuovi meccanismi di cooperazione internazionale". Che, per Spence, implicano anche la riforma delle istituzioni di Bretton Woods con, ad esempio, il Fondo Monetario Internazionale che potrebbe diventare il garante dell'economia globale. "In breve, abbiamo bisogno di nuovi strumenti per rispondere agli shock e ricostruire un ordine globale funzionale. La migliore risposta alla permacrisi è una nuova forma di cooperazione tra Paesi, mercati aperti e mai chiusi". Per un mondo inclusivo e non più esclusivo.