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I palloni gonfiati non volano

, di Pietro Masotti
Il manuale di volo del sociologo Francesco Morace spiega come orientarsi, muoversi e raggiungere gli obiettivi in una dimensione sociale che da liquida si è fatta gassosa

Era il 1999 quando il sociologo polacco Zygmunt Bauman fotografava la realtà di fine millennio con la fortunata definizione di "società liquida". Da allora non sono trascorsi molti anni, tuttavia i cambiamenti avvenuti sono stati talmente tanti e di tale portata, dall'avvento del digitale alla pandemia, che quella definizione chiede già di essere aggiornata. Lo ha fatto Francesco Morace, sociologo e fondatore del Future Concept Lab, nel volume Modernità Gassosa (Egea, 2023, 130 pagg, €16,50, in italiano), nel quale documenta e descrive il passaggio di stato fisico che ha subito la società evaporando sulla spinta dei social media e assumendo caratteristiche di volatilità e inafferrabilità. "Ogni aspetto delle nostre esistenze, dal lavoro alle relazioni, presenta i tratti di una progressiva polverizzazione", spiega Morace. "Il progresso e soprattutto il digitale ha aumentato a dismisura le possibilità di scelta a nostra disposizione e questo ci fa sentire liberi come non mai. Ma allo stesso tempo lo sguardo fisso degli altri ci sottopone a una pressione sociale mai vista e tutto è più aleatorio e incerto. A questo scenario si sono aggiunti la Pandemia, che ha contribuito ad aumentare la sensazione di rischio, le guerre e i cambiamenti climatici. Abbastanza, insomma, per gettare nel panico non solo le nuove generazioni, che infatti sono molto più concentrate sul presente che sul futuro".

Se dunque per sopravvivere nella società liquida bastava imparare a nuotare, o anche solo saper galleggiare, in questa dimensione aerea agli esseri umani è chiesto di volare. Non è un'impresa superiore alle nostre capacità?
No, se capiamo che non possiamo riuscirci da soli e ci affidiamo agli strumenti che la tecnologia e la comunità sono in grado di fornirci. Il paradosso di questa epoca è quello che io ho rappresentato con l'immagine del pallone gonfiato: in questa nuova realtà gassosa, il modo più semplice per sollevarsi da terra può sembrare quella di gonfiarsi, aumentando il proprio Ego e cercando di guidare da soli il proprio destino. Non funziona perché, per continuare nella metafora, il pallone aerostatico non vola davvero, ma usa la massa dell'aria in modo passivo. Invece noi dobbiamo proprio imparare a governare e dirigere il volo.

Il suo libro si propone di essere un manuale di istruzioni per imparare a muoversi in alcuni contesti specifici copiando metaforicamente tecniche ed esempi della natura o dell'ingegneria aerospaziale. Chiariamo con un esempio?
Uno dei tratti della modernità gassosa è l'evaporazione. Il lavoro sta evaporando: molti stanno perdendo il controllo della propria attività, della creatività, persino delle gerarchie se pensiamo ai rider comandati ormai da un algoritmo. Evapora anche l'informazione, la democrazia, le relazioni. Affrontare seriamente questo problema significa recuperare il valore della leggerezza non come deresponsabilizzazione ma come capacità di elevarsi per vedere le cose dall'alto, tracciando le mappe del territorio in cui ci si muove e trovando nuove strade. La tecnica di volo è quella dell'aliante, che mette a punto con lucidità e responsabilità un piano di volo senza confondere la libertà con l'assenza di vincoli e di legami.

Il fascino del volo è nel poter vedere più in là, oltre i confini visibili da terra. È questa la promessa che c'è alla fine del percorso di apprendimento?
Non c'è nulla di più libero del volo. Mentre la navigazione ha comunque dei limiti e dei vincoli, in aria si respira una libertà talmente ampia che è più difficile orientarsi e si rischia di perdersi. È il problema delle nuove generazioni, che hanno a disposizione tecnologie, intelligenze, possibilità come nessun altro mai nella storia, e che eppure si sentono mancare la terra sotto i piedi. È lo stato che nel libro descrivo come "sospensione" e per affrontare il quale suggerisco di prendere esempio dal deltaplano. Per volare con il deltaplano infatti serve allenamento muscolare, preparazione tecnica e un'attenta osservazione del contesto, dal terreno ai venti. Ci siamo illusi che nella modernità potessimo fare tutto con il minimo sforzo. Al contrario, dobbiamo studiare di più e allenarci con applicazione perché il contesto non ci favorisce naturalmente.

A maggior ragione, nella dimensione aleatoria, è più difficile costruire lavoro e imprese
È più facile avere buone idee, ma più difficile realizzarle. Soprattutto in Italia, la parte che ci mette in crisi come sistema non è tanto quella legata alla creatività e alla nascita di startup geniali, ma quella dell'execution, che invece riesce bene oltre le Alpi o ancora meglio oltre Oceano. Un'idea non è un progetto. Per diventare progetto deve essere approfondita, essere sperimentata ed eventualmente fallire, un concetto quest'ultimo ancora difficile da accettare nel nostro paese.

Saper volare è il compito che lei indica per ciascuno singolarmente. La realtà, sebbene volatilizzata, ci conferma tuttavia che il destino di uno è legato a quello di tutti. In che modo queste stesse tecniche di volo devono essere trasferite alle istituzioni, alle famiglie, alla società in generale?
Le organizzazioni sono fatte da singoli, e oggi i singoli contano più di un tempo. A lungo nella storia hanno contato più le classi sociali che le individualità, ma oggi l'unicità di ogni persona ha una rilevanza e un riconoscimento maggiore. Non è un caso che tanti movimenti per i diritti e le libertà, dal MeToo al Black Lives Matter, nascano dalle esperienze negative subite da un individuo. È altrettanto vero però che il singolo da solo non va da nessuna parte. L'immagine che mi è venuta in mente per rappresentare questo legame è quella dello stormo, dove non c'è un esemplare che guida e che comanda, ma c'è un'intelligenza collettiva, una leadership diffusa, che passa da uno all'altro e che permette alla comunità di muoversi nel cielo creando figure imprevedibili che disorientano e allontanano i predatori. Ecco, oggi il rapporto tra individualità, soggettività e collettività, è regolato dalla misura in cui sappiamo entrare in sintonia con gli altri senza ricorrere a gerarchie classiche.

La tecnologia, e in particolare l'Intelligenza artificiale, offre un linguaggio comune o è un nemico comune?
Il rischio che vedo io è che, nella dimensione gassosa, le nuove tecnologie possano insinuarsi in modo subdolo, senza che chi le assimila ne sia consapevole. Questo è un problema perché, allo stato attuale delle cose, le nuove tecnologie sono in mano a pochissime persone o società che governano gli algoritmi. È quasi una setta di adepti che però coinvolge tutti gli abitanti del pianeta ormai. Non si può pensare che tutti siano attrezzati per capire e dominare le tecnologie, bisogna dunque governarle con un'altra strategia, quella del colibrì, che vola restando fermo e, unico tra gli uccelli, anche in retromarcia, estraendo e impollinando con velocità, destrezza e creatività, generando così un'innovazione ri-creativa, non programmabile, ispirazionale.

La creatività e l'estetica, che nel volume sono rappresentate dalla farfalla, emergono come i valori che ancora una volta consentiranno agli esseri umani di mantenere "la responsabilità di immaginare il futuro"
Il mondo tecnocratico, algoritmico, sembra quasi aver espulso la bellezza dal proprio orizzonte. L'estetica invece, dalla parola greca estesis che indica un sentire condiviso, forse non risolve i problemi, ma è una virtù che può essere riconosciuta da tutti, che genera armonia e produce nuova bellezza. Io non credo, come Dostoevskij, che la bellezza salverà il mondo, ma che il mondo debba salvare la bellezza perché è utile, stimola le emozioni e aiuta il nostro cervello, che è prima di tutto emotivo, a concretizzare e ad apprendere.