L'era dello Sharp Power
Siamo di fronte a una rivoluzione nella scienza delle relazioni internazionali. Il soft power - concetto fino ad oggi usato per spiegare qualsiasi manifestazione del potere che non coincida strettamente con l'uso della forza militare - non basta più a spiegare i rapporti che intercorrono fra gli Stati.
Una nuova forma di potere, molto meno soft e molto più sharp - affilato, penetrante e silenzioso - permette ad alcuni Stati di estendere all'estero la loro influenza. Le leve sono le stesse del soft power: la cultura, gli investimenti, la diplomazia. Ma il modus operandi è tutta un'altra storia. L'obiettivo non è più quello di affascinare o persuadere, bensì modellare percezioni e comportamenti del pubblico di tutto il mondo. Questi Stati non sono tanto interessati a migliorare la propria reputazione. Il loro obiettivo è piuttosto delegittimare gli Stati democratici dalle fondamenta, portandone in superficie i limiti e le contraddizioni.
Il trend è globale: l'immagine dell'uomo forte, la creazione di un nemico comune, la narrazione del «noi contro di loro» promosse da regimi illiberali come Russia, Cina e Iran esercitano un'attrazione sempre più forte sulle opinioni pubbliche di tutto il mondo.
È l'era dello sharp power, che come un coltello affilato trafigge il contesto mediatico e politico nei Paesi presi di mira. E'un'opera di propaganda tanto silenziosa quanto efficace. E c'è un aspetto dello sharp power, quello economico e diplomatico, da cui non sono estranei anche Stati dalle solide istituzioni democratiche.
La lotta per la leadership globale, a colpi di fake news, manipolazione e controllo, vede nel cyberspazio un teatro d'importanza cruciale: qui a fronteggiarsi non sono solo gruppi di troll e hacker con il tacito benestare dei governi di riferimento, ma anche vere e proprie unità militari create ad hoc. Una guerra digitale e d'informazione a tutto campo che, evidenzia questo volume, minaccia anche il nostro Paese.
Paolo Messa in L'era dello Sharp Power (UBE - Università Bocconi Editore 2018; 192 pagg.; 16,50 euro), si spinge, infine, alla ricerca di una risposta su come reagire a questa rivoluzione nella scienza delle relazioni internazionali.
"L'unico strumento a disposizione", sostiene, "resta quello di aumentare la consapevolezza del pericolo, esporre le ingerenze da parte di questi Stati e alzare il livello di allerta nel mondo accademico, imprenditoriale e politico. Non possiamo però affrontare questa sfida da soli". Ecco perché ha senso puntare sulla cooperazione internazionale, soprattutto in ambito atlantico.
Paolo Messa è fondatore della rivista Formiche, dirige il Centro Studi Americani ed è Nonresident Senior Fellow dell'Atlantic Council a Washington DC. Fa parte del comitato strategico del corso di laurea in Global Governance presso l'Università di Roma Tor Vergata. È docente alla LUISS Business School e tiene lezioni su media e intelligence presso diverse università italiane.
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