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Coca-Cola, una storia a tinte fosche

, di Davide Ripamonti
Un libro di Michael Blanding svela fatti e misfatti nel mondo del colosso di Atlanta. Che tratta alla pari con molti governi ma può venire sconfitto da cittadini che difendono la propria terra e il proprio futuro
Michael Blanding
Coca Cola. Gusto unico e amare verità: i costi della leadership"
Egea 2011, 384 pagg, 25 euro

I colori sono il bianco e il rosso. L'immagine più conosciuta, quella di un pacioso Babbo Natale. Il suo logo è forse il più noto al mondo, così come è facile ricordare le decine di spot che lanciano messaggi di pace e fratellanza universale.

Eppure... Stiamo parlando di Coca-Cola, la multinazionale di Atlanta dominatrice incontrastata nel settore beverage, che dietro la facciata pulita e i buoni sentimenti ai quali si richiama in realtà nasconde parecchi scheletri negli armadi. E' quello che sostiene Michael Blanding, scrittore e collaboratore del Boston Magazine su tematiche politiche e sociali, in "Coca Cola. Gusto unico e amare verità: i costi della leadership" (Egea 2011, 384 pagg, 25 euro), con l'ausilio di testimonianze e di una ricca e particolareggiata documentazione. Blanding parte dalle origini di Coca-Cola, nata nell'oscuro limbo dei "farmaci con patente", bevande che alla fine dell'800 venivano reclamizzate da venditori fantasiosi e senza troppi scrupoli in quanto capaci di chissà quali miracoli, per arrivare alla prima affermazione e poi al consolidamento negli Stati Uniti e nel resto del mondo, in grado di vendere nel solo 1904 già 4 milioni di litri della fortunata bevanda. Un'affermazione, sostiene Blanding, perseguita con mezzi spesso spregiudicati, soprattutto in quelle parti del mondo dove il potere del denaro è amplificato dalla povertà. E' il caso del Messico, per esempio, dove la Coca-Cola è la bibita più bevuta (più che negli Stati Uniti) e dove le fabbriche portano lavoro ma sottraggono e inquinano l'acqua in zone già aride. Ma anche della Colombia, dove la guerriglia già imperversa e Coca-Cola è abile a sfruttare la situazione per azzerare le rappresentanze sindacali, e quindi i diritti dei lavoratori, nelle fabbriche di imbottigliamento che, pur non essendo di proprietà della stessa Coca-Cola, in realtà lavorano in esclusiva per lei. Coca-Cola, almeno secondo l'accusa di Blanding suffragata dalle testimonianze raccolte sul posto, si serve dei guerriglieri per minacciare e reprimere, o perlomeno lascia che le cose avvengano senza intervenire, sfruttandole a suo vantaggio. Il tutto in mezzo a cruente battaglie legali con alterne fortune. Vi è poi anche il caso dell'India, dove le fabbriche della multinazionale americana vengono accolte con entusiasmo per le molte opportunità di lavoro che creano, prima di rendersi conto che, nelle zone dove sono presenti, le riserve d'acqua calano a un ritmo vertiginoso e spesso i pozzi risultano inquinati da scarti di lavorazione in quantità in precedenza mai riscontrate. Blanding ci racconta le battaglie degli attivisti locali e americani contro il gigante, le iniziative di protesta che hanno talvolta spinto i governi a costringere Coca-Cola a cambiare le proprie politiche e giungere a patti. Ma anche negli Stati Uniti la multinazionale di Atlanta ha subito pesanti sconfitte quando, sull'onda delle proteste contro l'obesità infantile, molte scuole hanno stracciato i munifici contratti per la distribuzione esclusiva di Coca-Cola a vantaggio di più salutari bevande a base di frutta. Perché se è vero quello che diceva Andy Warhol, "Il presidente beve Coca-Cola, Liz Taylor beve Coca-Cola e, guarda un po', anche tu puoi bere Coca-Cola. Una Coca-Cola è una Coca-Cola, e nessuna somma di denaro può farti avere una Coca-Cola migliore di quella che sta bevendo il vagabondo all'angolo", la domanda che Blanding sembra porsi è: "Sì, ma a quale prezzo?".

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