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Branding by design Gli otto caratteri della marca post digitale

, di Gabriella Grillo
Il processo di costruzione della marca nell'era post digitale deve partire dal basso e deve mettere in discussione i principi considerati validi e immutabili del marketing tradizionale. Questo e' cio' che sostiene Giuseppe Mayer nel suo nuovo libro

Branding by design (Egea 2020; 192 pagg.; 24 euro) di Giuseppe Mayer ha un obiettivo molto chiaro: cogliere il significato e il valore del concetto di "fare branding" oggi. Dove stanno andando i brand? Nel mondo post digitale, in cui aziende e agenzie hanno a disposizione tecnologie sempre nuove e sempre più innovative, c'è ancora bisogno di qualcosa chiamato branding?

Nel contesto predigitale, i consumatori avevano bisogno di semplificare il proprio processo decisionale e di riconoscere le alternative presenti sul mercato attraverso un sistema di segni e un linguaggio riconoscibili. Il concetto di fiducia alla marca era legato alla sua capacità di rassicurare e indirizzare le preferenze dei consumatori attraverso strumenti e tecniche riconducibili sotto il cappello delle attività di branding classiche. Si parla di modello indiretto del valore, in cui un brand entra in contatto con i suoi consumatori solo dopo aver definito e consolidato la propria offerta; la marca quindi è un sistema chiuso del quale l'azienda è in grado di controllare ogni aspetto e che solo nel momento in cui è considerato "pronto" per il mercato viene effettivamente lanciato e presentato. L'iniziale affermazione dei canali digitali è stata vista dalle aziende come un'opportunità per rendere queste attività più economiche e tracciabili, senza però modificare il modello di generazione del valore o le pratiche consolidate di interazione con i clienti finali.

Con il tempo, la veloce evoluzione del digitale ha reso questo modello non più valido: per le aziende è diventato sempre più difficile riuscire ad utilizzarlo per prevedere i ritorni delle attività di branding. I brand che hanno saputo evolvere hanno dimostrato, invece, come sia possibile, proprio tramite il digitale, costruire una marca in modo diverso, aprendosi ai contributi delle persone all'esterno per essere in grado non solo di adattarsi alle specifiche richieste di specifici target, ma anche di diventare 'antifragili' ovvero di migliorare ogni volta che si viene sottoposti a qualunque tipo di pressione o cambiamento.

Branding by Design vuole raccontare proprio questa evoluzione in atto, provando a identificare i tratti caratteristici delle marche che si sono dimostrate capaci di creare e catturare valore in un sistema esponenzialmente più complesso e incerto rispetto al passato.

Non mancano esempi concreti, che Mayer ha potuto osservare nella sua lunga esperienza in agenzia. McDonald, per esempio, che ha recentemente acquisito per 300 milioni la società israeliana Dynamic Yield, con l'obiettivo di sviluppare prodotti a partire dai dati e dalle preferenze dei clienti. O ancora Nike, che punta molto oggi sulla divisione direct, che definisce e promuove nuovi prodotti e servizi attraverso le interazioni con i suoi clienti. Questi casi, come quello degli altri campioni di questa evoluzione – Dollar Shave Club, Glossier, Hello Fresh per citarne alcuni - hanno in comune l'idea per cui, per dirla con le parole di Henry Davis, COO di Glossier, "owning the relationship with the customer is the only way to build a brand today".

Questo è tanto più vero quanto più si tiene in considerazione il fatto che il sistema in cui viviamo non è un sistema stabile: gli stessi formati della comunicazione sono in costante evoluzione ed impongono di rivedere la natura stessa del brand, che deve essere meno chiuso su se stesso e più aperto alla contaminazione del messaggio.

La sfida per le aziende che vogliono fare branding in modo efficace è davvero cruciale; si tratta di riuscire a cedere il controllo del proprio messaggio favorendo la partecipazione delle persone fin dalle prime fasi di sviluppo dell'offerta e raccogliendo da ogni singola interazione dati e insight. Solo così si potrà rendere più efficace e culturalmente rilevante il proprio messaggio di brand raggiungendo quello che, dalla nascita del branding, resta il suo obiettivo principale: la fiducia delle persone. Serve un mindset aperto alle novità: guardare al futuro, ascoltare il mercato e di fronte alla sua evoluzione provare ad abbracciarla, non a gestirla.

L'approccio adottato non è del tipo «ricetta per il successo» ma punta piuttosto a descrivere le sfide da affrontare analizzandole a un livello più profondo per far emergere i concetti chiave e supportare aziende e professionisti nel proprio piano di azione.

Giuseppe Mayer si occupa di brand strategy e digital marketing da più di vent'anni, avendo ricoperto diversi ruoli in multinazionali del settore della comunicazione tra cui il Gruppo Armando Testa, Grey/ WPP, Ambito5/Publicis e Isobar/Dentsu. Nel 2016 ha fondato Antifragile, società di consulenza con partecipazioni in startup che operano in diversi ambiti della trasformazione digitale (dal crowdfunding con ProduzioniDalBasso.com, al wellbeing in ambito corporate con WellF.it, fino alle sport community con Snowit). Ha conseguito l'MBA presso SDA Bocconi School of Management e il Master in Strategy & Organization presso la Stanford Graduate School Of Business. È autore di "Dallo spot al post. La pubblicità dopo i social Media" (2015) e co-autore di "Trasformazione digitale. Strategie e strumenti per le PMI di domani" (con Dario Cardile e Pepe Moder, 2017, in questa stessa collana).

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