Chi ha paura delle riforme. Illusioni, luoghi comuni e verita' sulle pensioni
Il sistema previdenziale pubblico è stato, per decenni, il grande strumento di prevenzione della povertà nell'età anziana. Ha offerto sicurezza e garanzie per un periodo della vita caratterizzato da fragilità e insicurezza. Ha mitigato i costi economici e sociali delle imponenti trasformazioni produttive degli ultimi settant'anni; ha compensato (sia pure in maniera parziale e imperfetta) i limiti del mercato del lavoro, in particolare per quanto concerne le difficoltà occupazionali di donne e lavoratori anziani.
In Italia, ha rappresentato la via preferenziale al welfare nel suo complesso, sulla quale si sono concentrati gli sforzi delle politiche redistributive a scapito di politiche sociali più largamente presenti in altri paesi (per l'infanzia, la famiglia, contro la mancanza di reddito da lavoro).
Da un punto di vista socio-politico, il sistema pensionistico è stato però anche terreno di scontro non solo sociale ma anche, in maniera meno trasparente ma non meno importante, generazionale. Si è trattato, in particolare, del luogo preferito delle promesse elettorali e della "generosità" politica miope rispetto alle grandi trasformazioni demografiche ed economiche e agli interessi di medio-lungo periodo del Paese; dell'ambito di creazione di consenso politico, attraverso la segmentazione sociale e l'attribuzione di privilegi. E' stato anche il luogo dello scarso coraggio politico, dimostrato dalla lunghezza esasperante del processo di riforma e dalle politiche di stop and go.
La trasformazione di questa istituzione, in risposta ai cambiamenti strutturali della demografia e dell'economia, è avvenuta in tutta Europa, secondo linee comuni che, lungi dal rigettare l'idea forte di "protezione sociale" degli individui, hanno impostato su basi più sostenibili e più eque il "contratto tra generazioni" sul quale essa poggia. Il processo di riforma ha interessato anche l'Italia, in misura non inferiore a quella di altri Paesi europei, ma molto più lenta e con una forte propensione ad agire in emergenza.
Una "riforma" è un insieme complesso di mutamenti intrecciati tra loro, che dispiega i suoi effetti nel tempo: è un cambiamento profondo nel modo di funzionare di un meccanismo giuridico, economico, sociale, istituzionale allo scopo di adattarlo alle esigenze di rinnovamento.
Nella necessità di ideare ed attuare un riforma in questo campo, dunque, il compito della politica, sostiene la professoressa Elsa Fornero, autrice di Chi ha paura delle riforme. Illusioni, luoghi comuni e verità sulle pensioni (Università Bocconi Editore - UBE 2018; 168 pagg.; 15,90 euro; 8,99 epub), "deve essere quello di rispettare i requisiti di "un buon sistema pensionistico": l'adeguatezza (offrire un'adeguata sicurezza economica nell'età anziana, cioè un reddito socialmente sostenibile in gradi di consentire una vecchiaia dignitosa) e la sostenibilità (deve cioè essere finanziariamente sostenibile, ovvero rispettare l'equilibrio tra entrate contributive e uscite per il pagamento delle pensioni). A questi, si aggiunge anche la flessibilità, ossia la capacità di adattarsi ai cambiamenti strutturali di natura demografica, tecnologica ed economico-sociale del mondo di oggi.
Le riforme vengono spesso realizzate in situazioni difficili, quando è più arduo approvarle e condividerle, ma i problemi non risolti si accumulano e indeboliscono l'economia e la società: è quindi sempre necessario contestualizzare il momento in cui sono ideate. Questo vale anche per il periodo del 2011, il governo tecnico guidato da Mario Monti, nato da una situazione di emergenza finanziaria e da un prolungato stallo politico, un'acuta crisi economica e una ossessione collettiva per lo spread.
Un'analisi di quel governo – sostiene la professoressa Fornero – non solo è utile per comprendere le dinamiche del sistema italiano, ma anche per ottenere elementi adatti a una valutazione perlomeno distaccata delle azioni intraprese in quel periodo. La cosiddetta "crisi di sistema" è stata originata da tre debolezze tutte italiane: la prima è la minor crescita della nostra economia rispetto a quella degli altri paesi appartenenti alla stessa fascia di reddito per abitante; la seconda è la perdita di affidabilità del debito sovrano italiano sui mercati internazionali, a cui segui l'impennata dello spread proprio nell'estate/autunno del 2011; la terza fu l'assenza di una stabile ed effettiva maggioranza parlamentare che consentisse misure efficaci.
Forse la situazione non era davvero così critica, fatto sta che le varie forze politiche – aspramente divise su altri fronti - sostennero il "governo tecnico" con il voto di fiducia – sostiene la professoressa Fornero - "pur di non andare a elezioni, sapendo che il compito impopolare sarebbe toccato a loro".
L'indebolimento strutturale italiano era grave, e veniva rimarcato dalla pressione politica interna, da quella dei mercati, dalle istituzioni internazionali e dalla politica europea: la ricostruzione degli accadimenti di quel periodo compiuta dall'autrice sottolinea come in generale la crisi economica si sia sempre più acuita, sia cresciuta l'ossessione collettiva dello spread e in generale il clima di emergenza.
Quel che è certo è che le riforme non sono state indolori. Tuttavia sofferenze e risentimenti sono stati amplificati sia dalla sensazione (giustificata) di scarsa condivisione dei sacrifici, sia da una loro distorta rappresentazione mediatica. La dimensione di investimento sociale si è persa in un racconto che ha fatto leva soltanto sui diritti negati, sull'adeguamento a vincoli di bilancio mal compresi e imposti dall'estero, su luoghi comuni come il lavoro degli anziani sottratto ai giovani.
L'Italia non è stata la sola, in Europa, a riformare il proprio sistema pensionistico: e lo ha fatto seguendo le linee comuni ad altri Stati, molti sotto la spinta di cambiamenti demografici. Il dibattito politico si è concentrato solo sugli effetti negativi di breve periodo della riforma, ignorando l'aspetto di ribilanciamento dei rapporti economici tra le generazioni, a favore dei più giovani. L'intero tema è sfuggito a una gestione pacata e razionale: questo testo vuole sottolineare la mancata consapevolezza dei meccanismi operativi della previdenza, e richiamare la politica al recupero della lungimiranza delle scelte, alla lotta contro il populismo e alla diffusione di una maggiore educazione economico-finanziaria che permetta ai cittadini di migliorare le proprie scelte sia sul piano individuale che dell'intera società.
Comprensione e consapevolezza non avrebbero ridotto i sacrifici, ma li avrebbero resi meno gravosi e forse più facilmente tollerabili. Invece, l'insistenza sulla loro inefficacia (per il perdurare degli squilibri finanziari) o non necessità (perché la situazione non sarebbe comunque degenerata in crisi) ha ostacolato il realizzarsi di un raro momento di slancio in avanti del Paese. Entro questa cornice, il libro si propone, senza presunzione, precisamente come contributo alla comprensione e alla consapevolezza.
Lo scopo ultimo del libro è di far risaltare i molteplici valori che sottostanno a un sistema sociale di previdenza ben disegnato. È convincimento dell'autrice che la consapevolezza di tali valori sia un presupposto affinché il sistema cessi di essere un elemento di divisione e di risentimento e sia invece l'occasione per una pacificazione che travalichi lo stesso sistema, in un momento storico minacciato da particolarismi e populismi.
Elsa Fornero, economista e accademica, è professore ordinario di Economia politica presso l'Università di Torino, dove insegna Macroeconomia, Economia Pubblica e Economics of Savings and Pensions. È coordinatore scientifico del CeRP (Center for Research on Pensions and Welfare Policies), progetto congiunto dell'Università di Torino e della Compagnia di San Paolo presso il Collegio Carlo Alberto di Torino. Ha ricoperto diversi incarichi istituzionali anche a livello internazionale, tra cui: membro della commissione di esperti valutatori presso la World Bank (2003-2004), membro del Comitato Scientifico di Confindustria (2005-2006), membro del Consiglio direttivo della Società Italiana degli Economisti (2005-2007). Dal 16 novembre del 2011 al 28 aprile 2013 è stata Ministro del Welfare con delega per le Pari Opportunità nel governo guidato da Mario Monti. Il suo nome è legato alla riforma del sistema pensionistico varata durante quella legislatura.
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