Se i compagni di club diventano rivali in Coppa del Mondo
Nell’odierno mondo professionale sempre più interconnesso, le persone hanno spesso delle appartenenze al di fuori del loro posto di lavoro principale. Questo fenomeno può essere innocuo—o addirittura vantaggioso—fino a quando due colleghi non si trovano a rappresentare entità rivali. L’articolo “When Colleagues Compete Outside the Firm“ di Thorsten Grohsjean del Dipartimento di Management e Tecnologia Bocconi, Henning Piezunka della Wharton School e Maren Mickeler della ESSEC Business School, pubblicato sullo Strategic Management Journal, offre spunti piuttosto interessanti su questa dinamica, esaminando un caso insolito: giocatori di calcio professionisti che diventano rivali nelle squadre nazionali mentre giocano come compagni nelle squadre di club.
Lo studio si concentra su un contesto critico ma poco studiato: quando i colleghi che tipicamente collaborano all’interno di un’organizzazione si trovano impegnati in una competizione al di fuori di essa. Utilizzando i dati della Coppa del Mondo FIFA 2018 e dei principali campionati di calcio europei, gli autori hanno osservato che i compagni di squadra che gareggiavano l’uno contro l’altro nelle squadre nazionali avversarie hanno successivamente ridotto la collaborazione all’interno dei loro club, come evidenziato da una significativa diminuzione dei passaggi di palla durante le partite di campionato.
Come osserva Thorsten Grohsjean, “L’interazione tra affiliazioni extra-organizzative e collaborazione interna è complessa, ma i nostri risultati mostrano un effetto misurabile: dopo essersi affrontati come rivali, i compagni di squadra hanno mostrato una notevole riluttanza a collaborare a livello di club.”
I rischi di una doppia appartenenza
Il risultato più significativo dello studio è proprio l’impatto misurabile sulla collaborazione. Nella stagione successiva alla Coppa del Mondo, i giocatori che avevano affrontato un compagno di club come rivale in nazionale si sono passati la palla l’un l’altro circa l’11% in meno. Questa riduzione della collaborazione illustra come la competizione esterna possa creare tensioni persistenti, anche dopo il ritorno agli obiettivi condivisi della squadra di club.
I ricercatori ipotizzano che siano necessarie due condizioni perché questo effetto si verifichi. In primo luogo, i giocatori devono identificarsi fortemente con la propria squadra nazionale, il che porta a un’intensificazione delle rivalità. In secondo luogo, la competizione stessa deve essere molto intensa, come nel caso di tornei di elevato prestigio come la Coppa del Mondo. Questo tipo di contesti massimizza il senso di identificazione con l’orgoglio nazionale e crea una “percezione avversaria” tra i giocatori che, pur essendo compagni di squadra, iniziano a vedersi come membri di gruppi contrapposti.
La metodologia
Gli autori hanno utilizzato un solido impianto metodologico, confrontando il comportamento di passaggio di palla tra due gruppi: le diadi campione, cioè coppie di giocatori che hanno giocato l’uno contro l’altro come avversari nazionali, e le diadi di controllo, che non erano in questa condizione. Utilizzando dati dettagliati a livello di singola partita in diversi campionati europei, è stato possibile misurare la frequenza e la direzione dei passaggi tra i giocatori.
La Coppa del Mondo costituisce un contesto quasi-sperimentale ideale, grazie al fatto che le squadre avversarie sono selezionate casualmente. Come spiega Grohsjean, “i giocatori non hanno influenza sul fatto che le loro squadre nazionali si affrontino o meno,” il che riduce al minimo il potenziale di autoselezione e permette di vedere più chiaramente come la competizione esterna influenzi il gioco di squadra interno.
Le implicazioni
Questo studio lascia pensare che esista un potenziale “punto cieco” per chi dirige una qualsiasi organizzazione. Come i calciatori che gareggiano per le rispettive squadre nazionali, certi dipendenti potrebbero ricoprire ruoli o partecipare a organizzazioni esterne alla loro azienda che sono in competizione tra loro. Per esempio, i dirigenti aziendali possono sedere nei consigli di amministrazione di aziende concorrenti, oppure certi dipendenti possono sostenere attivamente cause politiche opposte.
Le organizzazioni, quindi, dovrebbero notare e monitorare queste affiliazioni, poiché tali rivalità possono erodere in modo sottile ma significativo la cooperazione interna. I risultati dello studio rivelano che i manager potrebbero dover affrontare e mitigare queste tensioni extra-organizzative per preservare una collaborazione produttiva all’interno del luogo di lavoro. Come osserva Grohsjean, “il nostro studio sottolinea l’importanza di comprendere le affiliazioni al di fuori del luogo di lavoro, poiché queste rivalità nascoste possono inconsapevolmente condizionare le relazioni professionali al suo interno.”