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Riparazioni di guerra? Non conviene rimettere tutto in discussione

, di Paola Mariani - professoressa associata presso il Dipartimento di studi giuridici
La Polonia ha chiesto 1.300 miliardi di euro alla Germania per i danni subiti nella seconda guerra mondiale. Una richiesta inopportuna, soprattutto in questo momento storico

Ciclicamente si riapre la questione dei danni dei danni di guerra causati dalla Germania nazista ai paesi occupati. Nel 2015 era stata la Grecia nel pieno della crisi del debito sovrano a avanzare pretese verso la Germania e adesso è la volta della Polonia. Il ministro degli esteri polacco Zbigniew Rau in una nota ufficiale del 3 ottobre ha formalizzato la richiesta di circa 1.300 miliardi di euro per danni di guerra subiti durante l'occupazione tedesca. Per comprendere quanto giuridicamente fondata possa essere la pretesa, occorre guardare alla definizione della questione.
A differenza di quanto avvenne con la fine del primo conflitto mondiale che vide con il Trattato di Versailles del 1919 una soluzione univoca al problema dei danni di guerra causati dalla Germania, le riparazioni dei danni dopo il secondo conflitto mondiale seguirono percorsi più articolati. La divisione del mondo in sfere di influenza, sancita dalla conferenza di Yalta e la circostanza che le potenze vincitrici del conflitto occupando militarmente la Germania avevano preso il pieno controllo delle sue risorse, condizionarono le modalità di riparazione. Inoltre, per la prima volta, si cominciò a considerare la riparazione dei danni subiti da singoli individui.

La Conferenza di Potsdam del 1945, infatti, elaborò un regime di riparazione basato sulla divisione del territorio tedesco in zone di occupazione sotto il controllo delle potenze Alleate (Stati Uniti, Regno Unito e Unione Sovietica) a cui si aggiunse la Francia. L'accordo prevedeva che le richieste di danni da parte dell'Unione Sovietica e della Polonia dovessero essere soddisfatte sulle risorse presenti nella zona di occupazione sovietica e sui beni tedeschi presenti in Bulgaria, Finlandia Ungheria, Romania e nella parte orientale dell'Austria, nonché sul 25% di risorse presenti nelle zone di occupazione occidentale. Il Trattato di pace di Parigi del 1947, che la Germania non poté sottoscrivere non esistendo più come Stato, ma che fu sottoscritto dalla Polonia, sancì l'impegno delle parti contraenti di non sollevare richieste unilaterali di ulteriori danni fino a quando non si fosse concluso un accordo di pace che includesse anche la Germania unita.

Successivamente alla Conferenza di Postdam, la Polonia stipulò con l'Unione Sovietica un accordo sul ristoro dei danni causati dall'occupazione tedesca in base al quale le venivano attribuiti, oltre ai beni tedeschi presenti sul suo territorio, il 15% delle riparazioni ricevute dall'Unione Sovietica. Nel 1953, L'URSS dichiaro solennemente che avrebbe rinunciato a chiedere le riparazioni alla Repubblica Democratica tedesca e la Polonia fece lo stesso, ma estendendo la rinuncia alla Repubblica Federale tedesca come statuito nell'accordo stipulato a Varsavia nel 1970 tra i due Stati sulla normalizzazione delle loro relazioni.
Nel 1990 all'atto della riunificazione delle due Germanie, le parti coinvolte nel secondo conflitto mondiale non firmarono un trattato di pace con la Germania. L'unico atto assimilabile fu il Trattato sullo stato finale della Germania del 1990 (detto anche "quattro più due" perché sottoscritto dalle originarie potenze occupanti e i due Stati tedeschi) che tuttavia non fa nessun cenno alle riparazioni di guerra. La Germania in più occasioni ha dichiarato che con quell'accordo tutte le richieste di danni derivanti dal secondo conflitto mondiale si sono estinte (si veda ad esempio German Federal Constitutional Court, [13 May 1996] 94 BVerfGE 315).

La Polonia oggi contesta non solo che il consenso espresso quando era sotto la sfera d'influenza dell'Unione Sovietica fosse viziato, ma anche che quanto ricevuto è del tutto insufficiente a risarcirla dei danni subiti. Peraltro, la Polonia non solo dovrebbe provare che gli accordi stipulati dai suoi governi dell'era comunista non sono vincolanti, ma vorrebbe far ricadere gli effetti del vizio del consenso non sullo Stato che avrebbe esercitato l'indebita pressione (non risultano richieste alla Russia, che è succeduta all'URSS), ma su un uno Stato terzo, che peraltro nell'attuale conformazione territoriale non esisteva ancora. Inoltre, poiché la Germania ritiene la questione delle riparazioni derivanti dalla seconda guerra mondiale ormai chiusa, per investire una Corte internazionale della controversia occorrerebbe un accordo specifico in tal senso.
Rimettere oggi in discussione quanto già definito a livello di Stati oltre mezzo secolo fa, significa prendersi il rischio di rimettere in discussione l'intero processo di riconciliazione, ancora in atto. La Germania, dopo il 1990 ha concentrato il suo impegno riparatorio sugli individui vittime dell'Olocausto, interagendo principalmente con Israele e le associazioni ebraiche nel mondo. Ma anche in Polonia vittime di guerra non di origine ebraica hanno ricevuto forme di compensazione da parte dello Stato tedesco. Se fino ad ora la Germania non ha sostenuto le richieste di indennizzo da parte dei cittadini tedeschi costretti a fuggire o espulsi dai territori ad est, annessi dalla Polonia alla fine della guerra, una richiesta di ricalcolo dei danni non potrà che coinvolgere anche le riparazioni agli individui.

Infine, non può non essere evidenziata l'inopportunità politica della richiesta nell'attuale drammatico momento storico che stiamo vivendo in Europa. I rapporti tra la Germania e la Polonia non possono prescindere dal fatto che si tratta di due Stati membri dell'Unione europea, la quale sta faticosamente creando un fronte comune contro l'aggressione e occupazione militare russa dell'Ucraina. La solidarietà tra Stati europei in questo momento è fondamentale e la stessa Polonia ha ricevuto e riceve il supporto dell'Unione europea e degli Stati membri per far fronte alla grave crisi in atto a causa della guerra ai suoi confini. Come dimostra la crisi del gas, trovare un accordo tra Stati membri che hanno diversi interessi nazionale è di per sé difficile. Non è certo rimettendo in discussione gli assetti raggiunti dopo la fine della guerra fredda che si contribuisce alla stabilità e alla pace in Europa.