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Le quattro facce dell'oppressione

, di Stefano Osella, research fellow del Dipartimento di Scienze giuridiche della Bocconi
Violenza, sfruttamento e marginalizzazione, impotenza e subordinazione culturale limitano i diritti delle persone LGBTQI+ spesso ricordati solo in occasione della giornata internazionale contro l'omofobia e del Pride

A fronte delle parole - poche e, spesso, vuote - che per un giorno l'anno, il 17 maggio, sentiamo a proposito dei diritti LGBTQI+, non possiamo esimerci da qualche domanda critica, e chiederci se, come gruppo, rimaniamo oppressi. Non si può evitare la questione, soprattutto nel mese del Pride. Ed è su questa domanda che vorrei indugiare, senza la pretesa di dare una risposta esaustiva, ma solo di generare un po' di dibattito. Iris Marion Young, e, più recentemente, Ruth Rubio-Marín, hanno individuato alcune facce dell'oppressione. Violenza, sfruttamento e marginalizzazione, impotenza, e subordinazione culturale. Temo che le persone LGBTQI+ - in particolare quelle che soffrono discriminazioni intersezionali, per esempio quelle disabili o razzializzate - siano costrette a misurarsi con tutte e quattro.

Iniziamo con la violenza. Le persone LGBTQI+ sono ancora, in molti stati, criminalizzate essenzialmente per il solo fatto di esistere. I rapporti tra persone dello stesso sesso possono essere oggetto di repressione, con sanzioni penali severe, inclusa quella capitale. In Europa, la situazione sembrerebbe migliore. Tuttavia, sono sovente proprio gli stati Europei a negare protezione a richiedenti asilo LGBTQI+, quindi mettendone a rischio libertà e vita, tramite valutazioni che in molti criticano per essere omotransfobiche. Inoltre, è ovvio che la violenza non è commessa solo da autorità pubbliche. Per esempio, la Fundamental Rights Agency dell'Unione Europea documenta che la maggioranza delle persone LGBTQI+ è stata vittima di molestie motivate da odio. Tuttavia, solo una minima parte di questi attacchi è riportata alle autorità, che, non è raro, si dimostrano poco interessate e quindi violente per omissione (qualcuno si ricorda la vicenda del ddl Zan, per dirne una?). La violenza può assumere forme più sottili, e tuttavia non meno letali. Si guardi alla crescente ricerca medica che dimostra che le persone LGBTQI+ sono a rischio di malattie estremamente serie (come il cancro) dovute al minority stress che segue a esperienze di discriminazione quotidiana, cui, purtroppo, a volte non c'è rimedio. E gli esempi potrebbero continuare.

Questo ci porta all'impotenza. Come abbiamo visto, le persone LGBTQI+ non sembrano fidarsi delle istituzioni. Qui dobbiamo chiederci il perché. Le istituzioni - politiche, culturali, economiche - sono capaci di accogliere le persone LGBTQI+? La domanda è cruciale. I nostri sistemi giuridici, anche costituzionali, presuppongono impliciti di genere e un contratto (etero)sessuale. Come si manifesta, oggi, questo implicito? Per esempio, quanti esponenti della politica, della magistratura, delle forze dell'ordine, dell'università, dell'industria, della finanza, e dell'editoria sono apertamente LGBTQI+? Un'ipotesi, a sensazione? Pochi, pochissimi - ma felicissimo di essere in errore.

La sorella dell'impotenza è la povertà - la marginalizzazione. Studi preliminari in Italia dimostrano che le persone apertamente LGBTQI+ hanno minore possibilità di integrarsi nel mercato del lavoro. Il Williams Institute della UCLA ha dimostrato che la percentuale di persone LGBTQI+ che vive in povertà è più alta rispetto a quella delle persone cis ed etero. Particolarmente grave appare poi la situazione delle persone trans, e, ovviamente, delle persone LGBTQI+ disabili o razzializzate. Quando si tratta di persone in giovane età, studi riportati dal governo USA denunciano che esse sono sovrarappresentate tra quelle senza fissa dimora. Appare ovvio che la marginalizzazione contribuirà poi all'impotenza, e alla vulnerabilità alla violenza, in un circolo vizioso che ferisce o uccide.

E veniamo al quarto punto. Subordinazione culturale. In che misura essere LGBTQI+, od occuparsi di temi LGBTQI+, è ancora, al giorno d'oggi, un malus? Anche qui, studi estesi sono imperativi, eppure qualche aneddoto sembrerebbe poco incoraggiante. Per esempio, il nostro legislatore, e la Corte costituzionale, nonostante una diversa narrazione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, si rifiutano di riferirsi alle famiglie LGBTQI+ come famiglie ("formazioni sociali", come il circolo delle bocce). Questo ha ovviamente conseguenze giuridiche, ma anche culturalmente, a me, sembra un dato rilevante. E in università? Dati precisi sono fondamentali, ma mi perdonerete un aneddoto personale. Una volta, un professore senior (di un'altra istituzione), dopo avermi sentito parlare, mi disse (un po' sorpreso) che sono intelligente. Quindi, perché mi occupo di diritti LGBTQI+? Potrei, dopo tutto, farmi la fama (o la nomea?) di quello "che si occupa di LGBTQI+"? È una brutta cosa? In ogni caso, gli esempi di cis-eterosessismo non si contano. Chiedete alla vostra vicina di scrivania, chiedete al ragazzo che incontrate in ascensore, chiedete ai vostri studenti. Sono sicuro che moltissimi vi diranno di essersi sentiti "di serie B".

Quattro facce, dunque, ma un unico volto: quello dell'oppressione.