Il rischio (di credito) è sempre dietro l’angolo
Dieci anni fa, nell'ottobre 2014, la Banca centrale europea (BCE) è diventata il supervisore unico di tutte le istituzioni significative dell'area dell'euro (EA). Da allora, uno dei principali risultati della BCE è stato il suo contributo nel risolvere il problema dei crediti in sofferenza (NPL, non performing loans), ossia i prestiti scaduti, improbabili da riscuotere (unlikely-to-pay) o in default, che per lungo tempo hanno rappresentato una sfida per le banche europee.
All'indomani della crisi finanziaria globale e del debito sovrano dell'euro, le banche europee si sono ritrovate con una quantità di NPL senza precedenti. Nel 2016, gli NPL nell'EA ammontavano a oltre mille miliardi di euro, pari al 6% dei prestiti totali della regione, con differenze significative tra banche e Paesi. Un terzo degli NPL europei era detenuto da banche italiane, il cui rapporto NPL medio era del 20%, rispetto alla media del 6% nell'EA.
L'entità del problema ha richiesto un'azione mirata da parte della BCE, la cui preoccupazione principale era che un eccesso di NPL potesse compromettere i prestiti bancari e riaccendere il cosiddetto “doom loop”, in cui le perdite di credito potevano portare a difficoltà bancarie a livello locale, minacciando la solvibilità dei governi nazionali. Sono possibili anche effetti di spillover tra le regioni, mettendo a rischio la stabilità dell'intero sistema bancario.
Per quanto riguarda i potenziali effetti degli elevati NPL sull'offerta di credito, i crediti deteriorati incidono negativamente sulla redditività e sul capitale delle banche. A loro volta, una bassa redditività e una bassa capitalizzazione indeboliscono la capacità delle banche di estendere il credito. Non è solo una questione di quanto credito viene erogato, ma anche di quali mutuatari ricevono le risorse. Le banche non redditizie e sottocapitalizzate sono soggette a incentivi distorti e spesso sono tentate di concedere più prestiti alle imprese più deboli nel tentativo di ritardarne l'insolvenza. Gli economisti definiscono questi fenomeni “evergreen” e “zombie lending”, in cui le banche “deboli” continuano a finanziare imprese apparentemente sane (imprese zombie), mantenendole artificialmente in vita per evitare ulteriori ripercussioni negative sui loro profitti e sul loro capitale.
Per evitare l'accumulo di NPL nei bilanci bancari, la BCE ha introdotto linee guida sulle modalità di classificazione, gestione e accantonamento degli NPL da parte delle banche. Grazie a queste e ad altre misure, in pochi anni lo stock di crediti deteriorati nell'area dell'euro si è dimezzato, scendendo a meno del 2% dei prestiti totali. Per le banche italiane, si trattava di 56 miliardi di euro, ovvero meno del 2,5% del loro portafoglio crediti totale (dati PwC al dicembre 2023).
Gli NPL non sono più una priorità? Sebbene i dati siano incoraggianti, un approccio prudente rimane necessario per diversi motivi. Innanzitutto, il rischio di credito un tempo a carico del settore bancario non è stato eliminato, ma semplicemente trasferito a investitori specializzati. Solo in Italia, le istituzioni non bancarie detengono ancora circa 250 miliardi di euro di NPL che devono essere recuperati o gestiti attivamente. In secondo luogo, le banche stesse possono detenere grandi quantità di prestiti in stato di sub-performing (il cosiddetto stadio 2 del processo di svalutazione) che, insieme alle esposizioni UTP, richiedono approcci di gestione sofisticati che comportano strategie di “back-to-bonis” come la ristrutturazione dei contratti e la fornitura di nuovi finanziamenti. In terzo luogo, i rischi emergenti, come quelli legati al clima, si ripercuotono sui bilanci bancari sotto forma di aumento del rischio di credito. Pertanto, il rischio di credito continuerà a essere una priorità per la vigilanza negli anni a venire.
Per gestire efficacemente i prestiti problematici, è necessario un ecosistema ben funzionante. Questo comprende banche impegnate, istituzioni non bancarie, autorità e governi. A questo proposito, la qualità del quadro istituzionale è un fattore chiave per la gestione degli NPL. I regimi di ristrutturazione e di insolvenza variano ancora da una giurisdizione all'altra in Europa. L'Italia, ad esempio, è in ritardo rispetto agli altri Paesi dell'UE, il che comporta non solo processi di recupero lunghi e costosi, ma anche procedure di ristrutturazione del debito delle imprese più macchinose. Sono necessari progressi e una maggiore armonizzazione in questo settore. Progressi sono particolarmente auspicabili per quanto riguarda i prestiti UTP e stage 2 per le piccole e medie imprese, viste le implicazioni dei loro esiti gestionali sull'economia reale, in particolare nel nostro Paese.