Contatti
Opinioni

Gli immigrati hanno bisogno di certezze

, di Tomaso Eridani
Con l'UE che sta rivedendo le sue politiche su migrazione e asilo, Joseph Simon Goerlach spiega che dare agli immigrati maggiori prospettive a lungo termine sulla loro permanenza aiuterebbe l'integrazione

In tutta Europa, l'immigrazione è attualmente un tema in primo piano nell'arena politica e nei media. Il governo britannico, ad esempio, sta promuovendo una legge per reprimere l'immigrazione clandestina e in Italia, dopo le recenti tragedie dei migranti e i controversi nuovi decreti sull'immigrazione, la questione è nuovamente oggetto di un acceso dibattito. Intanto l'UE sta spingendo per un nuovo Pact on Migration and Asylum e deve affrontare la questione dei rifugiati ucraini – oltre 8 milioni in Europa dall'inizio della guerra secondo i dati del UNHCR. Ma la situazione è davvero critica o il dibattito è troppo allarmistico? In questa intervista Joseph-Simon Goerlach, del Dipartimento di Economia, che annovera il tema della migrazione tra i suoi principali ambiti di ricerca, ci fornisce il suo punto di vista

--Siamo davvero di fronte a una crisi in tutta Europa o il dibattito è troppo allarmistico?

Il mondo è sempre più globalizzato e connesso, ed è quindi normale che anche la migrazione abbia avuto una tendenza all'aumento negli ultimi anni. Ma i naufragi sulla rotta verso l'Europa o il Regno Unito riportano sotto i riflettori la situazione dei migranti clandestini/privi di documenti. I numeri - 160.000 attraversamenti del Mediterraneo e 46.000 della Manica l'anno scorso - mostrano un aumento rispetto all'anno precedente, ma sono ancora una piccola parte della migrazione globale. A livello europeo, sono numeri piccoli anche rispetto agli afflussi di ucraini, per esempio. È ovvio che una gestione migliore e più efficiente dell'immigrazione è fondamentale, ma non credo che siamo a un punto critico.

--Molte critiche sono rivolte all'UE che non sta affrontando il problema con le politiche giuste. Concorda con queste critiche?

I recenti episodi e catastrofi evidenziano certamente i problemi irrisolti della politica europea in materia di asilo. L'UE ha spinto per un nuovo Pact on Migration and Asylum, con un nuovo approccio condiviso, per riformare o sostituire l'Accordo di Dublino - ma sono stati fatti pochi progressi. Le due principali debolezze dell'attuale sistema sono, in primo luogo, l'impossibilità di chiedere asilo senza aver prima intrapreso un viaggio rischioso nel territorio dell'UE - un rischio che viene ulteriormente aumentato dalle politiche nazionali di alcuni paesi, tra cui l'Italia. In secondo luogo, l'iniqua distribuzione dei rifugiati tra gli Stati membri. L'accordo di Dublino finora obbliga i migranti a presentare la richiesta nel paese di arrivo, il che comporta un onere sproporzionato per paesi come l'Italia.

--C'è una difficoltà generale nel riuscire a vedere l'immigrazione anche come una forza positiva? L'attenzione è troppo emotiva, incentrata sui numeri e sulla regolamentazione?

L'immigrazione ha molte conseguenze, che dipendono da chi sono i migranti e da dove arrivano. Concentrarsi solo sui numeri non è né informativo né costruttivo. Ad esempio, gli immigrati possono sì competere per posti di lavoro e servizi con gli autoctoni, ma molti forniscono anche servizi vitali in settori importanti come l'agricoltura e la sanità. Inoltre, portano anche benefici nel campo della ricerca e l'innovazione. E nel corso della loro vita tendono a pagare più tasse di quanto ricevono in termini di servizi e welfare. Però sì, l'integrazione può essere una sfida per i paesi ospitanti. Certamente ci sono conseguenze distributive ed è molto importante riconoscerle e affrontarle.

--Per quanto riguarda l'integrazione, un suo studio mostra come dare ai migranti la certezza di poter restare potrebbe migliorare la loro integrazione, aiutarli a contribuire maggiormente all'economia locale e consolidare la loro accettazione nelle società di accoglienza. È una delle strade più efficaci e percorribili?

Sì, il mio studio con Jérôme Adda e Christian Dustmann mostra che gli immigrati che hanno una maggiore certezza sulla loro prospettiva di rimanere investono di più in competenze, anche del paese ospitante, come l'apprendimento della lingua locale, e nello sviluppo di contatti sociali, che permette loro di trovare lavori meglio retribuiti - e quindi di generare maggiori contributi fiscali al paese ospitante attraverso le imposte sul reddito e sui consumi.
Dare agli immigrati prospettive chiare è importante, sia per la loro vita e le loro decisioni, sia per la loro integrazione e accettazione nelle società di accoglienza. Ciò è particolarmente vero per il gran numero di rifugiati ucraini in Europa. L'UE è stata rapida nel concedere loro una protezione temporanea (circa 4 milioni ne hanno fatto richiesta nel primo anno), che ora potrebbe essere estesa. Ma queste prospettive a breve termine mantengono le persone in un limbo e non le incoraggiano a imparare la lingua locale, ad esempio, e a integrarsi.