
Perché i progetti si realizzino, bisogna incontrare le persone giuste
“Ho sempre avuto il desiderio di creare un’azienda mia. Da studentessa avevo provato a lanciare un brand di skincare come side-hustle, tuttavia, con l’arrivo del Covid ed essendo da sola a gestirlo, il progetto non è andato troppo lontano. Da questa esperienza imparai che, affinché i propri progetti si realizzino, è essenziale impegnarsi e incontrare le persone giuste: le statistiche dimostrano che le imprese fondate in team hanno più possibilità di farcela”. Per Chiara Airoldi, oggi COO della startup Cloov, l’incontro decisivo è stato quello con la co-founder Olimpia Santella. Il suo percorso verso l’imprenditorialità, però, era iniziato ben prima. “Dopo la laurea triennale in marketing, ho deciso di fare un Master in imprenditorialità e management di impresa presso la SDA Bocconi, con l’obiettivo di comprendere a fondo come si strutturasse un’azienda e acquisire gli strumenti giusti per farlo al meglio. Ricordo che ho percepito per la prima volta l’entusiasmo di dare vita a un mio progetto quando è venuto a parlare il founder di una società di consulenza tecnologica. Ascoltandolo rimasi affascinata dal fatto che fare impresa significasse creare valore da zero, compresi posti di lavoro, partnerships e mercato”.
L’idea vincente arriva, come detto, dalla condivisione di un progetto con un’altra giovane startupper incontrata più o meno per caso mentre Chiara viveva ad Amsterdam. “Mi trovavo in Olanda perché lavoravo in strategia e pianificazione per un startup sempre nel settore fashion-tech”, ricorda Airoldi. “Mi colpiva la quantità enorme di stock invenduto che veniva gestito e che veniva considerato uno scarto dai brand. Volevo trovare una soluzione a questo problema, non solo come opportunità di business, ma anche per dare un reale contributo alla riduzione dell’impatto ambientale dell’industria della moda, oggi secondo settore più inquinante al mondo. Cloov è nata con un driver etico molto forte e poi, dialogando con i brand del settore, si è definito anche il business model migliore: offrirsi come soluzione software B2B per aiutare le aziende a integrare modelli di business circolari come resale, repair e rental all’interno del proprio core business”.
Il valore prioritario dei principi etici è confermato anche dalla decisione di trasferire subito la startup in Italia. “Il contesto olandese nel quale mi trovavo era più favorevole per la creazione di una nuova azienda, sia dal punto di vista burocratico che fiscale”, riflette l’ex alumna. “In Italia, però, ci sono più aziende della moda. Per principio per noi era importante creare qualcosa di nuovo nel nostro paese. I nostri mercati target, però, non si fermano all’Italia”. L’incertezza, d’altra parte, è il pane quotidiano delle startup e dei founder. “Una delle prime cose che ho imparato in Bocconi, ma soprattutto in Cloov, è ad abbracciare più apertamente il rischio: questo mental switch è un passaggio quasi obbligato per chi vuole fare start-up. Le sfide fanno parte del quotidiano e non devono essere associate a qualcosa di negativo, bensì agli sprint di una maratona, fondamentali per la crescita e il miglioramento continuo. Tra dieci anni l’obiettivo è che Cloov diventi la soluzione leader di mercato nel proprio ambito, ma che soprattutto che le innovazioni di cui oggi parliamo siano diventate consuetudine”.
Altri cambiamenti, quelli che riguardano le diverse forme di gender gap, sono attesi nel prossimo decennio. “Nelle corporate, italiane come in quelle olandesi, è indubbia l’esistenza di un gender gap salariale. Reputo importante creare awareness in tutte le aziende, soprattutto tra i manager, per creare una cultura in cui la crescita salariale e di ruolo è legata alle performance, ai risultati raggiunti e alla capacità di creare valore. Sono felice, per esempio, di vedere dei Venture Capital focalizzati sugli investimenti in startup fondate da donne. Un sogno nel cassetto sarebbe quello di riuscire un giorno a restituire quanto ricevuto ad altre nuove imprese femminili”.
