L’arte oltre l’arte
Le tecnologie digitali sono progressivamente utilizzate nei musei e negli spazi espositivi nello sforzo continuo di svolgere la propria funzione educativa, divulgativa e di ricerca in modi contemporanei.
Se ci concentriamo sulla parte visibile della strategia - lo sviluppo di un sistema di offerta per i diversi pubblici - una prima questione riguarda i modi di ingaggio dei visitatori. Tradizionalmente, le scelte espositive catturano l’attenzione del visitatore attraverso l’esposizione di opere d’arte, la creazione di contesti (pensiamo ai diorami nei musei di storia naturale), la sperimentazione. L’inserimento di soluzioni digitali sempre più raffinate sta permettendo di arricchire l’esperienza in più direzioni.
Si può ad esempio immaginare “come era veramente” o capire “come è fatto dentro”, come è il caso delle soluzioni vr in uso alle Domus Romane di Palazzo Valentini a Roma, o esporre in modo non convenzionale i risultati di ricerca chimica e radiologica sugli oggetti custoditi (penso alla mostra archeologia invisibile al Museo Egizio di Torino qualche anno fa).
Oppure si può attivare un’esperienza di visita multisensoriale come nella mostra Sleeping beauties sugli abiti più fragili della collezione del MET, dove un ologramma costruito su un abito del 1887 esposto in una vetrina restituisce la sensazione visiva del movimento durante un ballo, mentre tubi appesi alle parete restituiscono i profumi e gli odori che i tessuti sprigionavano con l’uso.
Si possono approfondire e meglio contestualizzare epoche, oggetti, relazioni, attraverso soluzioni web based attivabili da smartphone, che sostituiscono in parte le audioguide e che non richiedono di scaricare applicazioni, come le guide Mymuseum disponibili a Palazzo Maffei a Verona o alla scuola grande di San Rocco a Venezia. O si possono ricostruire oggetti, restituire il genius loci o risemantizzare un patrimonio controverso. Lo studio di disegni originali di Giulio Romano e degli affreschi sulle pareti di Palazzo Te a Mantova ha permesso di ricostruire modelli di oggetti e realizzare mostre site specific che aiutano a cogliere lo spirito dei tempi e che sono state al contempo occasione di ricerca approfondita su materiali d’archivio e su tecniche di stampa a 3D. La riproduzione 1:1 in altissima risoluzione delle nozze di Cana del Veronese collocata nel refettorio di Palazzo Cini a Venezia restituisce significato al luogo; su questa opera, Peter Greenaway ha inserito una performance multimediale. L’installazione luminosa di una frase di Hannah Arendt in tre lingue sugli uffici finanziari di Bolzano orienta lo sguardo del visitatore su un monumento originariamente pensato per celebrare il valore di Mussolini senza richiedere distruzione, ma senza lasciare indifferenti.
Ancora, attraverso le nuove tecnologie si può attivare la partecipazione dei visitatori e aumentare le possibilità di interazione con luoghi, personaggi, contesti. Diverse esperienze di gaming, ad esempio, come quelle realizzate per il Mann di Napoli o per la fondazione Pomodoro di Milano permettono più facilmente di avvicinare alla cultura anche pubblici molto giovani. Il primo è di fatto una audioguida che abbraccia i tre nuclei della collezione museale e stimola la ricerca attiva delle opere attraverso lo “sblocco” di contenuti diversi durante il gioco. Il secondo invece si configura come un gioco a squadre per le scuole supportato dalla tecnologia.
Infine, si può allungare e allargare il ciclo di vita dell’esperienza museale o espositiva, in un dialogo fra esperienza live e digitale. Due esempi mi paiono particolarmente interessanti. Da un lato l’apparato digitale collegato alla mostra su Vermeer al Rijksumeum di Amsterdam e dall’altro la Escape room online M4rt3! del museo della Scienza e Tecnologia di Milano, un viaggio collaborativo alla scoperta di Marte insieme all’astronomo Giovanni Schiaparelli, che mette in dialogo parte delle collezioni da un lato e uno dei laboratori offerti dal museo.
Tutti questi, comunque, sono esempi nei quali le tecnologie sono utilizzate come strumento per meglio realizzare la propria missione, per avvicinare nuovi pubblici, fidelizzare quelli esistenti, raccogliere dati su comportamenti del pubblico che altrimenti sarebbero difficili e costosi da raccogliere. Sono campi di ricerca e di sperimentazione, che coinvolgono partner specializzati e attivano competenze molto diverse tra loro. E le soluzioni espositive sono il punto di arrivo di ripensamenti di processi avviati molti anni prima. La qualità dell’offerta digitale della mostra di Vermeer deve non poco alla strategia di digitalizzazione ad alta risoluzione e ad accesso aperto delle collezioni museali; progetti collaborativi fra istituzioni museali per la costruzione di archivi interoperabili stimolano non solo collaborazioni fra istituzioni di ricerca in fase di raccolta dati a fini di ricerca, ma aprono spazi di nuova produzione artistica con livelli di spettacolarizzazione impensabili, mentre la dematerializzazione degli archivi apre spazi di collaborazione fra istituzioni e accostamenti di linguaggi artistici diversi.